lunedì 29 giugno 2009

Parcheggio


L’estate è iniziata e la versilia è stata invasa da quelli che chiamiamo bagnanti o villeggianti, i soliti lucchesi, fiorentini, pistoiesi e pratesi; quest’ultimi spesso riconoscibili dall’inguardabile sandalo con calzino bianco. Nel fine settimana la spiaggia sembra un puzzle di Mordillo e il problema del parcheggio è un vero e proprio incubo. Domenica la darsena era invasa da biciclette, scooter, moto e macchine, parcheggiate in tripla fila, sui marciapiedi, sugli alberi e sulla pista ciclabile, alla faccia di chi come me si becca la multa quando c’è il lavaggio della strada e non trovando posto è costretto a parcheggiare alla cazzo. Per fortuna di luglio e agosto il lavaggio è sospeso, ma resta il problema del parcheggio e non solo nel fine settimana. Io abito in una via centrale di Viareggio e quando arrivo la sera dal lavoro trovare un parcheggio decente è impossibile. Dopo il tipico quarto d’ora passato a girare come la merda nei tubi, parcheggio nei soliti posti dove so che non mi fanno la multa, fottendomene del fiorentino di turno che puntualmente si affaccia alla porta per dire che sono troppo sul marciapiede e non ci passa con la bicicletta. Quando scendo dalla macchina e sento “icchè tu fai?” rispondo: “spiribindi”, aspettando l’inevitabile “è” per dire “puppa” e proseguire per la mia strada senza voltarmi indietro. Tipicamente il fine settimana giro in bici. Capita però di dover prendere l’auto, parcheggiata a fatica vicino casa il venerdì sera, per poi lasciarla a qualche km poche ore dopo, al rientro da una cena. Sabato quando sono rientrato c’era solo un posto sull’angolo della strada, ma memore di quanto accaduto l’anno prima, ho evitato. L’anno scorso, infatti, al rientro da una cena prendo la bimba e la porto a letto, mentre mia moglie parcheggia l'auto. “Dove hai parcheggiato?” chiedo. “E’ parcheggiata un po’ male, ma è qui vicina”. La mattina dopo esco con la bimba, faccio due passi e all’angolo, dall'altra parte della strada, vedo un anziano che inveisce contro il nulla. Aveva uno di quei carrelli a due ruote per aiutarsi a camminare, avendo evidenti problemi di deambulazione. Il vecchio era davanti ad una macchina parcheggiata sull’angolo, che gli ostruiva il passaggio; lo guardavo e mentre aveva iniziato a sbattere il suo carrello contro la macchina, realizzo che quella era la mia macchina. Mi tornano in mente le parole della sera prima “è parcheggiata un po’ male…” . Prendo Giulia e gli dico: “aspettami qui, non ti muovere”. Attraverso la strada di corsa, bestemmio, mentre il vecchio si stava avventando sul tergicristallo. Arrivo di corsa e afferro il tergicristallo sperando di salvarlo. Era troppo tardi. Un attimo dopo mi trovo il tergicristallo in mano conteso dal vecchio che schiumava rabbia. “Che cazzo fai” gli grido. ”Guarda come ha parcheggiato questo coglione” mi risponde. “Questo coglione sono io” replico incazzato e impotente. Mi prendo il tergicristallo, lo mando a cagare e gli sposto la macchina. Torno da Giulia che affatto spaventata e piuttosto incuriosita, storcendo la testa mi chiede: “cosa aveva quel signore?” la guardo sorridendo e rispondo: “chiedilo a quel genio della mamma".

venerdì 26 giugno 2009

Il senso della vita


Io non sono religioso e il mio essere agnostico non mi aiuta a capire cosa sia questa cosa oscura che chiamiamo vivere. Il senso della vita e’ un argomento di cui si potrebbe parlare all’infinito, senza trovare una risposta. Saro’ banale, ma credo che il senso della vita stia nei piccoli gesti quotidiani che fai per un amico, per tua madre o tuo padre. Sta nelle carezze ad un figlio o ad un cane. Sta nello sguardo assente di tua nonna. Sta nelle fusa di un gatto e nel ruggito del leone. Sta nelle onde del mare e tra le gambe delle donne. Sta nel dare una mano, quando te la chiedono. Sta in un sorriso e in un gesto d’assenso. Sta nel breve spazio che separa il ti amo da un bacio. Sta in un piatto di pasta e in un bicchiere di vino in compagnia. Sta nel perdono e nell’odio. Sta nel dire quello che pensi, ma anche nel silenzio. Sta nel saper aiutare gli altri, ma soprattutto sta nel rispetto degli altri e di te stesso. Ecco io non sempre ho avuto rispetto di me stesso, ma sono convinto che, anche se ho 40 anni, posso essere migliore.
Penso anche che il senso della vita è dare la vita. Questo può essere fare un figlio, ma anche dedicarsi interamente ad una persona, saperla amare davvero. Un altro modo di donare la vita è donare gli organi. E’ una cosa a cui penso spesso. Ma sono mezzo cecato e niente cornee, fumo e bevo, quindi niente polmoni e fegato, lo stomaco e’ quello che e’, per non parlare del reni o della milza. Quindi alla fine mi dico: che cazzo dono? Ecco potrei donare giusto quello.

lunedì 22 giugno 2009

1993 (2)


Cix

L’ho visto entrare
nell’atmosfera e incendiarsi.
Ancora rovente planare,
sedersi e accendermi
con lo sguardo.
Le sue espressioni trionfo delle mani,
diesis sul fa gli occhi e le parole.
Cix era il suo nome,
e apparve dal nulla in un giorno di sole,
quando il bosco era un giardino.
Nessuna paura, nessun dolore,
quando getto' la maschera
e si fece accoltellare.


Senza rimorso

Appeso per le braccia,
guardo i sogni galleggiare
nell’aria fredda di dicembre.
Stringo i lacci e guardo fuori.
Vedo mia madre
tornare stanca dal lavoro;
dietro il vetro, sotto le coperte,
non ho sentito dolore.

12/02/1993



Lesione cerebrale

Un cono di luce,
di luce di fuoco.
Sento elettroni e vetri
colpirmi violentemente.
Sangue.
Il buio senza riflessi.
Bocca asciutta,
mani e orecchie calde.
Sogno il fiasco
e la sua forma così geniale.
Mi sveglia uno sparo,
uno sparo di luce:
buongiorno dottore.

12/02/1993



40 Hogarth road

Solo ora che le distanze
diventano infinite,
vergogna non provo
dei sentimenti che la mente cova.
Ora che sento fragili i capelli,
lunghi come la strada
che beffarda ci divide.
Ora che novembre
è di nuovo arrivato
e noi abbiamo perso
l’inizio e la fine.
Ora che cerco 40 Hogarth road,
su una carina di Londra,
e guardo le selle, l’unica cosa
che abbiamo da spartire.

14/12/1993



Sogno nero fuxia

Non ti ricordavo così bionda.
“Che buono questo caffè”.
Sai, forse abbiamo sbagliato.
“Cosa facciamo stasera?”
Non credevo di trovare miele
nel pozzo di creta.
Forse non abbiamo sbagliato niente.
Ti ricordi quando mi dipingevo
La faccia di bianco e blu
sfumando la cornice?
“Il soffitto mi piace verde”.
Ho iniziato a colorare i sogni,
l’ultimo era nero e fuxia.
“Ho voglia di fare l’amore”.

14/04/1993



Fiori blu


Continua il deserto dietro le dune.
Fuggono nel nulla le nostre paure.
Cammino, corro in cerca di fiori blu.

20/02/1993




Ognuno

Ognuno travolto da sguardi
tarda a reagire.
Ognuno continua da solo
nel proprio dovere.
Ognuno è uno
sempre e comunque.

13/1071993



Sporgenze

Son qua con la mia pelle
ad ascoltare le voci
che ho scelto.
Son qua con le sporgenze
che mi ritrovo.

27/03/93

giovedì 18 giugno 2009

Cronaca di una morte annunciata


Ecco un'altra email che doveva essere pubblicata su questo blog. Era un sabato di qualche anno fa, ricordo che nel tardo pomeriggio avevamo fatto l'asta della Troy Cup al bar del mercato dei fiori. La sera c'era il rione Darsena dove Stanley ci regalo' una grande prestazione, magistralmente raccontata nella email sottostante dal Merlo.


Solo i fatti. Illustreremo solo i fatti. Il nostro era già in grande forma al suo arrivo al CRO.
Stato alcolico interessante, di gran lunga. L'aspetto non era dei migliori, turbante e gota rossa dipinta, ma questo è "as usual".Ha continuato a bere cubalibre...neanche accorgendosi di cosa beveva, si presume. E' finito in terra diverse volte, ma questo fa parte del divertimento alcoolico.
Veniamo a noi. Verso l'una e mezza, mi offro di accompagnarlo a vomitare.
Andiamo dietro la Pesa, e mentre si infila le dita in gola tre o quattro tipi lo riconoscono: cominciano a fotografarlo gottante, al che lui, espletata l'opera, inizia uno sputo selvaggio verso di loro, almeno 8/9 torcini ben lanciati. Passato il quarto d'ora di "sto meglio, ora", comincia a stressare di voler essere accompagnato a casa. Ride, casca, implora e si incazza.
Mentre insiste violentemente, lollo è chiamato da una tipa.Ci si mette a parlare. Il nostro, per farsi portar via (il boy aveva la macchina), aggredisce lollo mordendolo a un braccio. Riesco a separarlo, lascio lollo al solito fraseggio a centrocampo e mi avvio col nostro sottobraccio verso la di lui macchina,posizionata dice, al mercato dei fiori. Evidentemente era a quello della frutta. Lo trascino dal CRO a Scintilla, un peso morto, biascicava due concetti:"che figura, qui faccio il colloquio a tutti" , "se mi porti della topa, la trombo". Arrivati finalmente alla twingo, gli chiedo le chiavi per poterla guidare.Non mi risponde, e ricomincia a vomitare. Un tipo vestito da biancaneve ci chiede se abbiamo bisogno di aiuto. Fatta anche 'sta gottata, e pulitosi come sempre al vestito, mi dice di frugare nei calzini. Le chiavi erano lì.Lo carico in macchina, di peso, mi metto alla guida e infilo la chiave: la macchina non parte. Provo molte volte, sembra ingolfata.
Il nostro mi infama continuamente..."portami a casa, portami a casa...".Provo a chiamare lollo, ma il centrocampista non ha portato il telefono. Tattica zero.Bene, mi prendo il nostro sottobraccio e lo porto, via ponte di Pisa, a casa mia.
Un viaggio lunghissimo. IL nostro è peso, e non stava proprio in piedi. Nel tragitto vomita altre due volte. Arrivati finalmente a casa, lo piazzo sulla smart. Sarà la macchina fighetta, ma appena montato gli vieneun altro conato. Lo spingo fuori e rivomita.
Infine lo accompagno al Norge ("dove è prima dello zara o dopo?" "boh...").Apro la porta, si butta sul letto e me ne vado.

martedì 16 giugno 2009

Arselle


Questo fine settimana mi sono fatto una due giorni di mare sulla solita spiaggia che frequento da sempre e come sempre mi sono preso la prima tranvata di sole. Domenica mattina arrivo al mare, poso alcune cose in cabina, saluto mio cognato che insegue i suoi figli che non si vogliono spogliare e vedo un costume pronto per essere indossato. Mi metto il costume, vado al bar, prendo il caffè e raggiungo mia moglie e mia figlia all’ombrellone, mentre mio cognato litiga con il proprietario del bagno. Più tardi vedo arrivare mio cognato con un costume a castraggio lento; sarà stato almeno un paio di taglie al di sotto della sua. Gli chiedo cos’era successo. “Ho dovuto mettere questo costume perché hanno rubato il mio, l’avevo lasciato davanti alla cabina e non ce l’ho più trovato, quando l’ho detto al proprietario del bagno mi ha fatto arrabbiare, perché diceva che era impossibile... a proposito, hai il costume uguale al mio”. Mi ero messo il suo costume. “Scusa, ma è un boxer nero come il mio e pensavo che me lo avesse preparato Roberta”. “E perché avrei dovuto prepararti il costume?” Interviene mia moglie. Già perché avrebbe dovuto? Comunque mi sono tenuto il costume alla faccia delle palle di mio cognato. Però pensando a una teoria di una mia collega, visto il caldo che faceva e la tenuta stretta, quella sera mio cognato avrebbe potuto trombare senza problemi d’inseminazione.
Ho passato gran parte del tempo a fare il bagno con mia figlia. Abbiamo fatto le arselle con mani. Era incredibile, bastava mettere la mano nella sabbia per trovarle, per la gioia di mia figlia. Le arselle a Viareggio si chiamano anche nicchi, da cui deriva la nicchia, uno dei tanti modi di chiamare la topa. Tra un’arsella e l’altra notavo come erano cambiate le mode negli anni, ma la movida che caratterizza la spiaggia fosse sempre uguale a se stessa.
Le classiche icone da spiaggia, erano le solite di sempre. La sfilata di quelle donne gìà con un’abbronzatura invidiabile a marzo. La tettona che gioca a racchetoni sulla battigia e il bimbo che muove la testa seguendo la palla, mentre il padre, con la testa rigida, non stacca gli occhi dalle tette, magari pensando ad un altro genere di… rocchettone. La coppia di palestrati, di solito sono in coppia come i carabinieri, che fa su e in giù almeno 20 volte, muovendosi in modo da evidenziare, addominali, dorsali, bicipiti, tricipiti e pettorali esenti pelo, guardandosi intorno cercando consensi. Il coglione, tipicamente pistoiese, che arriva di corsa e si tuffa in mare, rischiando di travolgere un altro coglione che fa i nicchi con le mani. Il timido, bianco come un cadavere, che invece impiega 40 minuti prima di tuffarsi bagnandosi prima ripetutamente polsi, tempie e pancia. Lo splendido che palleggia, quello che fa le parole crociate e culi e tette come la sabbia. In quel flusso continuo di onde e curve sinuose, è arrivato puntuale quell’istante che non ha età, dove l’essere uomo prevale su tutto e vedi solo la fica. In quel frangente che fugge via veloce, come un albanese inseguito da un leghista, vorresti trombarle tutte, senza remore sulle chiappe mosce o i polpacci alla Materazzi, sulla cellulite o sui peli sulle ascelle.
La sera ero cotto come un befanino e alle nove sono crollato insieme a mia figlia. Prima di addormentarmi il mio pensiero è tornato alla spiaggia uguale a quella di più di vent’anni fa, quando su quella spiaggia facevo il bagnino. La sera rastrellavo la spiaggia e poi andavo a ballare e la mattina alle sette ero di nuovo in spiaggia, magari con gli occhiali da sole per legittima difesa, pronto ad accogliere le ragazze sotto l’ombrellone.
Alla fine mi sono addormentato cosciente che l’unica cosa che era cambiata ero io, che raccoglievo i nicchi sulla sabbia invece della nicchia sotto l’ombrellone.

venerdì 12 giugno 2009

Gelatino


Un paio di settimane fa ho conosciuto Shiraz, un mio collega di Coventry, anche lui indiano come Sid, con cui lavoro da circa un paio di mesi. Shiraz è stato tutta la settimana a Pisa e per me e’ stata l’occasione di fare un po’ di pratica col mio nemico amatissimo: l’inglese. Shiraz ha appena 26 anni ed è molto simpatico, ma soprattutto parla lentamente e scandisce bene le parole, quindi riesco a capirlo abbastanza bene, lui invece mi capisce un po’ meno, infatti, spesso mi diceva: “what do you mean?” Una sera siamo stati anche a cena insieme. Prima però abbiamo fatto l’inevitabile tappa a piazza dei Miracoli. Siamo arrivati davanti alla Torre pendente al tramonto, Shiraz appena ha visto il coglione di turno che faceva la classica foto made in Japan, l’ha voluta fare subito anche lui. Non solo, ha voluto immortalare anche me in quella posa che ero riuscito ad evitare per 40 anni. Shiraz ha scattato una trentina di foto in pochi minuti, ha voluto fare anche una foto insieme, a quel punto se qualche passante avesse pensato a noi come una coppia gay in gita di piacere, l’adulto col giovane indiano da monta, come avrei potuto dargli torto? La serata è stata la tipica prova del nove, perchè un conto è parlare di cose tecniche in ambiente lavorativo, un conto è parlare del più e del meno, nel mio caso direi solo del... meno. Abbiamo mangiato pesce e Shiraz ha fatto scegliere a me le portate e ha gradito molto il cibo. Avevo scelto anche una bella bottiglia di vino, ma quando ho fatto per versare il vino lui ha risposto picche, dato che non poteva bere alcolici essendo musulmano. Io ho bevuto vino, lui ha bevuto coca cola. Secondo me anche Maometto avrebbe avuto da ridire sulla coca cola col pesce. Non sono mancati i momenti di puro panico, come quando Shiraz mi chiedeva gli ingredienti di un antipasto o che pesce stavamo mangiando. Ho sudato le sette camicie per spiegargli che stava semplicemente mangiando un cazzo di totano. Shiraz mi ha confermato che alcuni inglesi sono proprio stronzi perché non fanno nessuno sforzo per farsi capire. Un esempio classico e’ quella ragazza che avevo conosciuto a Coventry che sembrava un ventriloquo, lui mi ha detto qualcosa del tipo: “she has lips frozen”. Shiraz mi diceva che è facile capire gli italiani perché quando parlano gesticolano e sono molto espressivi. A lui piace molto questo, a differenza dei suoi colleghi inglesi, che in generale non hanno un bel parere sull'Italia e sugli italiani. Pensando a Berlusconi mi sento un po' anglosassone pure io. Ci sono comunque delle mosche bianche come il mio insegnante d’inglese. Lui faceva il giornalista a Manchester e aveva un tenore di vita molto alto. Ha preferito mollare tutto e venire a vivere in Italia dove guadagna assai meno, ma dove, a differenza dell’Inghilterra, quando entri in banca o alle poste, sai quando entri, ma non sai quando esci. Per non parlare di quando si va in Comune, o quando devi sbrigare qualsiasi questione burocratica. Lui adora tutto questo. Noi italiani un po’ meno.

In ogni modo è stata una piacevole serata e alla fine mi sembrava di avere quello che si dice inglese fluente, forse perché mi ero bevuto l’intera bottiglia di vino. Quella sera ho scoperto che Shiraz va matto per il gelato, che lui chiamava gelatino. Shiraz deve averne mangiato parecchio in quella settimana, dato che poi mi ha scritto: “I ate too much gelatino in Italy”. In questi giorni stiamo preparando insieme una demo per Vodafone che faranno in UK, quindi ci sentiamo spesso al telefono. Ieri mi ha preparato il test plant e poi mi ha mandato un mail con su scritto: “I have moved the files to mhl08..enjoy :-)”
Quando, pochi minuti dopo, mi ha chiamato gli ho detto: ” enjoy un cazzo”, l’ha capito al volo perche’ si e’ messo a ridere. Ovviamente io lo chiamo Gelatino e lui Lui mi chiama Man. Insomma sembriamo proprio due checche.
La mia battaglia con il mio nemico amatissimo continua, a volte mi sembra di fare progressi, direi slowly but surely, altre invece mi deprimo come quando al telefono m’incarto come una caramella. Sicuramente sto messo meglio del mio amico Riccardo che alla domanda: “do you remember?” Rispse: “I member”.

giovedì 11 giugno 2009

1993


Voci

Capita a volte di sentir voci
nei corridoi deserti,
come parole e rumori lontani.
Capita spesso di rincorrerle
fino a non sai dove,
poco importa, basta fuggire da lì.

27/01/93



Fuga

Fuggo i secondi
Che la sveglia comanda,
incurante del giorno
che ansioso mi attende.
Fugge da me ogni rimpianto
coperto da aghi di pino
nel mare d’autunno.
Fuggo lontano
nel corpo che muovo,
mescolando le carte
nell’istante opportuno.
Fuggo nel blu
che la mente circonda
incanalando minuti
di opache espressioni.

12/10/93



Le mani

I gesti della mani,
le loro vibrazioni,
suoni e oscillazioni,
in silenzio si consumano,
dopo un attimo già dimenticate.
Poi ritornano prepotenti,
quando rimangono solo loro
e spazi vuoti nella testa
a tener vivo chi non c’è più.

10/03/93


Bianco

Pochi giri di lancette
e bianco tutto era intorno.
In un attimo mi sentii impotente,
ancora una volta di fronte al silenzio.

17/11/93



Figure

C’e’ vento sulla collina,
fumo di sigaretta nella stanza.
Mattonelle antiche, ossa e pelli,
la sabbia e i soliti pensieri.
Non mi spaventa morir
per gioia o per dolore,
quando son io la causa
del vivere e delle sue figure.

20/01/93


Tramonti

Tramonta il sole.
Tramontano i sogni.
Tramontano le persone,
tramontano in un attimo,
come il sole ci lasciano al buio,
come i sogni ci lasciano speranze.

03/11/93

Autunno

Il vento ancora caldo
I gabbiani sfiora.
E batte il porto senza farsi notare.
Si consumano i primi riti della pioggia,
come non bastasse il lento scorrere
delle occasioni a renderci complici del nostro destino.
Passano velocissime le nuvole
e noi guardiamo causa ed effetto,
cercando la voglia di studiare.
E la finestra di fronte, un quadro per studenti.

20/10/93

mercoledì 3 giugno 2009

Paolo Maldini


Era l’estate del 1984, avevo appena finito il mio primo anno all’Istituto Tecnico Nautico, l’impatto con la scuola superiore non era stato dei migliori, infatti, ero stato rimandato in due materie: matematica e inglese, ovviamente. In quegli anni correvo in bicicletta, ero una promessa del ciclismo toscano, almeno cosi’ diceva il mio allenatore, che evidentemente non ci capiva un cazzo. Comunque passavo piu’ tempo in bicicletta che a studiare e i risultati erano quello che erano. Passai l’estate tra lezioni e allenamenti. La mia insegnante d’inglese era una zitella acida che in due mesi affogò la mia già scarsa voglia d’inglese. Le lezioni di matematica le facevo da un professore che raggruppava gli studenti in gruppi piu’ o meno omogenei; le sue lezioni erano molto frequentate e, soprattutto, c’erano molte ragazze. Erano gli anni dei Duran Duran e degli Spandau Ballet, dei paninari e dei metallari, di Carl Lewis e Andreotti, del Drive in e delle Charlie's angels, ma per me era il periodo della prima, grande tempesta ormonale e tra nautico e bicicletta di fica se ne vedeva poca o punta. Mi piaceva molto andare a ripetizione di matematica.
Quell’estate a lezione c’era un certo Maldini. Viareggio era da sempre la meta estiva di suo padre Cesare. Ho un vago ricordo di quel ragazzo timido e impacciato, che nell’inverno seguente, il 20 gennaio 1985 con Nils Liedholm in panchina, esordì in serie A, a soli 16 anni. Quell' anno la Juventus vinse la sua prima Coppa Campioni, battendo il Liverpool allo stadio Heysel di Bruxelles; una finale segnata dalla strage in cui morirono 39 persone.
In pochi anni Maldini divenne un pilastro del Milan e della nazionale. Ricordo cinque anni dopo, quando ero in crociera di fine corso, durante la sosta a Dubrovnik, rasa al suolo pochi anni dopo, si riuscì a vedere 90° Minuto di Paolo Valenti, con Luigi Necco che raccontava sommessamente la sconfitta del Napoli di Maratona per 2-3 nell'incontro decisivo contro il Milan al San Paolo il 1 maggio 1988. Quello era il Milan di Sacchi e degli olandesi, Rijkaard, Gullit e Van Basten. Ma era già anche il Milan di Maldini, che quindici anni dopo, il 23 maggio 2003, all’Old Trafford di Manchester, sollevava la Champions League a 40 anni esatti di distanza dal giorno in cui il padre si laureò campione d’Europa, anch’egli come capitano del Milan e anch’egli in Inghilterra (a Londra).
Nonostante praticassi il ciclismo ho sempre seguito il calcio, fino a diventare un vero e proprio tifoso. Ricordo che alla fine di una gara erano tutti contenti per la mia vittoria, ma io ero incazzato perchè avevo saputo della vittoria della Juventus che si era laureata campione d’Italia con un punto di vantaggio sulla mia Fiorentina. Era l'ultima giornata, Catanzaro - Juventus 0-1, rigore di Liam Brady e Brio stampò una gomitata in faccia al centravanti, Carletto Borghi, e l'arbitro - sfortunatamente - non trovò il fischietto. Uno scudetto quanto meno sospetto che diede origine al mitico detto: meglio secondi che ladri. L’evento che mi spinse definitivamente verso il baratro del tifo avvenne nel 1982, l’anno de Il tempo delle mele, di E.T. e Blade Runner, ma soprattutto l’anno in cui Italia di Bearzot vinse il mondiale in Spagna, con l’urlo di Tardelli dopo il gol nella finale contro la Germania.
Due domeniche fa Maldini ha giocato l’ultima partita a San Siro e alla fine, quando ha fatto il giro di campo, mi sono commosso. In quei minuti d’ovazione c’era un quarto di secolo giocato con la stessa maglia, c’erano 7 scudetti e 5 Coppe dei Campioni. In quei minuti nella mia mente si sono intrecciati i ricordi di un quarto di secolo di vita, tra calcio e realtà. Gorbaciov, la Perestroika e il Verona di Osvaldo Bagnoli. Il bagno di sangue degli studenti cinesi a piazza Tien an Men, il crollo del Muro di Berlino e la MaGiCa (Maratona, Giordano, Careca) del Napoli. La prima guerra del Golfo e le notti di Italia 90 con l’esplosione di Totò Schillaci. Il primo scudetto della Sampdoria di Vialli e Mancini. Boris Eltsin e la dissoluzione della vecchia URSS. La strage di Capaci e Tangentopoli. Il dominio del Milan di Capello, Bettino Craxi a Hammamet e Berlusconi che scende in campo. Cecchi Gori e la Fiorentina in serie B. La guerra civile in Jugoslavia, la mucca pazza e il mondiale 1994 negli USA, perso ai rigori contro il Brasile con gli errori dal dischetto di Baggio e Baresi. Clinton che fa firmare la dichiarazione di Washington a Rabin e Arafat, festeggiando poi con lo storico pompino della Lewinsky. Putin e la guerra in Cecenia. Le 168 reti di Batistuta con la maglia viola. Il Parma di Tanzi, la Lazio di Cragnotti e Giovanni Paolo II che va a trovare Fidel Castro. L’avvento dell’euro e lo scudetto della Roma di Totti. L’attacco del 11 settembre alle Torri Gemelle, Osama bin Laden e la guerra ai talebani in Afghanistan. Bush, la Guerra in Iraq, Saddām Husayn e la Juventus di Moggi. Al-Qaeda, la SARS e il mondiale vinto dall'Italia di Lippi in Germania contro l’odiata Francia. Lo Tsunami in indonesia, calciopoli e la Juventus in serie B, finalmente. Il dominio dell’Inter, Barack Obama e Berlusconi ancora in campo e noi ancora ad aspettare che qualcuno alzi il cartello per chiedere la sostituzione.
Domenica scorsa Maldini ha giocato la sua ultima partita a Firenze. Alla fine si sono fermati tutti per applaudire gli ultimi passi da giocatore del capitano, l’ultima bandiera. La mia testa ha fatto “Indietro tutta”, come la trasmissione di Arbore di fine anni ottanta, per tornare ancora a quei mitici anni, quando non c'era internet, non c'era google, non c'erano cellulari, reality show, grandi fratelli e tutte quelle cazzate che ci propinano oggi in tv.
Ho un vago ricordo di quell’estate del 1984, quando incontrai quel ragazzo timido e impacciato che a 16 anni esordì in serie A.
E poi diventò Paolo Maldini.