martedì 16 giugno 2009

Arselle


Questo fine settimana mi sono fatto una due giorni di mare sulla solita spiaggia che frequento da sempre e come sempre mi sono preso la prima tranvata di sole. Domenica mattina arrivo al mare, poso alcune cose in cabina, saluto mio cognato che insegue i suoi figli che non si vogliono spogliare e vedo un costume pronto per essere indossato. Mi metto il costume, vado al bar, prendo il caffè e raggiungo mia moglie e mia figlia all’ombrellone, mentre mio cognato litiga con il proprietario del bagno. Più tardi vedo arrivare mio cognato con un costume a castraggio lento; sarà stato almeno un paio di taglie al di sotto della sua. Gli chiedo cos’era successo. “Ho dovuto mettere questo costume perché hanno rubato il mio, l’avevo lasciato davanti alla cabina e non ce l’ho più trovato, quando l’ho detto al proprietario del bagno mi ha fatto arrabbiare, perché diceva che era impossibile... a proposito, hai il costume uguale al mio”. Mi ero messo il suo costume. “Scusa, ma è un boxer nero come il mio e pensavo che me lo avesse preparato Roberta”. “E perché avrei dovuto prepararti il costume?” Interviene mia moglie. Già perché avrebbe dovuto? Comunque mi sono tenuto il costume alla faccia delle palle di mio cognato. Però pensando a una teoria di una mia collega, visto il caldo che faceva e la tenuta stretta, quella sera mio cognato avrebbe potuto trombare senza problemi d’inseminazione.
Ho passato gran parte del tempo a fare il bagno con mia figlia. Abbiamo fatto le arselle con mani. Era incredibile, bastava mettere la mano nella sabbia per trovarle, per la gioia di mia figlia. Le arselle a Viareggio si chiamano anche nicchi, da cui deriva la nicchia, uno dei tanti modi di chiamare la topa. Tra un’arsella e l’altra notavo come erano cambiate le mode negli anni, ma la movida che caratterizza la spiaggia fosse sempre uguale a se stessa.
Le classiche icone da spiaggia, erano le solite di sempre. La sfilata di quelle donne gìà con un’abbronzatura invidiabile a marzo. La tettona che gioca a racchetoni sulla battigia e il bimbo che muove la testa seguendo la palla, mentre il padre, con la testa rigida, non stacca gli occhi dalle tette, magari pensando ad un altro genere di… rocchettone. La coppia di palestrati, di solito sono in coppia come i carabinieri, che fa su e in giù almeno 20 volte, muovendosi in modo da evidenziare, addominali, dorsali, bicipiti, tricipiti e pettorali esenti pelo, guardandosi intorno cercando consensi. Il coglione, tipicamente pistoiese, che arriva di corsa e si tuffa in mare, rischiando di travolgere un altro coglione che fa i nicchi con le mani. Il timido, bianco come un cadavere, che invece impiega 40 minuti prima di tuffarsi bagnandosi prima ripetutamente polsi, tempie e pancia. Lo splendido che palleggia, quello che fa le parole crociate e culi e tette come la sabbia. In quel flusso continuo di onde e curve sinuose, è arrivato puntuale quell’istante che non ha età, dove l’essere uomo prevale su tutto e vedi solo la fica. In quel frangente che fugge via veloce, come un albanese inseguito da un leghista, vorresti trombarle tutte, senza remore sulle chiappe mosce o i polpacci alla Materazzi, sulla cellulite o sui peli sulle ascelle.
La sera ero cotto come un befanino e alle nove sono crollato insieme a mia figlia. Prima di addormentarmi il mio pensiero è tornato alla spiaggia uguale a quella di più di vent’anni fa, quando su quella spiaggia facevo il bagnino. La sera rastrellavo la spiaggia e poi andavo a ballare e la mattina alle sette ero di nuovo in spiaggia, magari con gli occhiali da sole per legittima difesa, pronto ad accogliere le ragazze sotto l’ombrellone.
Alla fine mi sono addormentato cosciente che l’unica cosa che era cambiata ero io, che raccoglievo i nicchi sulla sabbia invece della nicchia sotto l’ombrellone.

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