mercoledì 23 settembre 2009

1996


Fila d’attesa

In fila d’attesa
aspetto cupo e seduto
il mio turno per sputare.
Per sputare in un sol colpo
tutte le paure,
prima che siano loro
a sputarmi sul fegato.

08/08/96


Giugno 96

Che non ritorni più
il vento e le nubi che muove.,
per specchiare volti cupi
nelle pozze d’acqua.
E se ancora cadrà la pioggia
che lavi via i ricordi senza vita.

14/08/96


Mosche e zanzare

Mi ritrovo spesso
ad uccidere zanzare,
con in corpo l’ira di un soldato.
Ne uccido una, poi un’altra
e un’altra ancora…
Son finite le zanzare?
Poco male, ucciderò le mosche.

25/05/96


Risvegli

Vorrei fermare
pensieri e persone
per gioire di grilli e farfalle.
Vorrei bruciare
le sveglie che ci contano i secondi.
Vorrei sognare
tutto dello stesso colore.
Mi sveglierò domani
per raccontare un altro sogno.

23/03/96


Rondini

Alla sera all’improvviso
appaiono le rondini.
Planano, virano verso spazi bui.
In piccoli gruppi si allontanano,
per poi tornare più numerose.
Riti quotidiani, sempre gli stessi,
che ammiriamo solo
nel momento del bisogno.
E sono solo rondini che volano
e in picchiata precipitano.

20/05/96


Pensiero triste

Non siamo mai stati troppi vicini
condividendo a volte le idee,
ma mai la pelle.
Adesso vorrei essere
perlomeno presente.
Vorrei dimenticare quel corpo inerte
e confessare l’angoscia
di saperti assassino.
Vorrei essere lì, dentro la tua cella,
per farmene una ragione.

30/06/96


Ragione e bugie

Non voglio lasciarmi alle spalle
ricordi imbevuti di rimpianti,
ma un pezzo di vita,
che con ragione e bugie,
possa dire di essere vissuta.

15/09/96


…del vivere

Del vivere e delle sue figure
cerco le istruzioni.
Seguendo il corpo nelle sue vocazioni.
E il cervello è come il vino,
o invecchia bene, o da novello diventa aceto.

28/08/96


Fantasma

Ho maledetto la svegliache
che impietosa mi ha svegliato.
La luce che dalla finestra filtrava,
ancora orizzontale mi derido,
ho il pigiama macchiatodi latte e caffè,
ventisette anni, un occhio ancora chiuso
e i calzini gialliper giustificare lo squallore.
Nella testa echeggiano fantasmi e rumorie,
altri ancora dalla cucinain in verticale mi raggiungono.
Sono in piedi, quasi barcollo,
la scimmia ride sulle mie spalle.
La porta è aperta, entro in bagno,
che oscena visione lo specchio.
Il futuro e` nelle mie mani:
sto pisciando.

20/5/96

lunedì 7 settembre 2009

Viareggio 29 giugno 2009


Ecco cosa mi ha raccontato Massimo, sopravvissuto alla strage ferroviaria di quella maledetta notte del 29 giugno scorso.
“Andiamo a letto? Mi chiede mia moglie che e’ nel bagno a lavarsi i denti. Sì, ma non senti quest’odore di gas? In pochi secondi la casa è invasa dal gas.”
Mentre mi racconta, prende il giornale di mercoledì 31 luglio dove c’è una foto dall’alto della zona della strage, per farmi vedere dov’era casa sua.
“Io abitavo qui, in via Ponchielli, al primo piano e mansarda, dalle finestre vedo la ferrovia tra le due palazzine che ho di fronte. Pochi minuti primi avevo sentito il solito rumore che fanno i freni dei treni sulle rotaie, un po’ più forte del solito in verità, ma niente che facesse pensare a un deragliamento. Mi affaccio alla finestra e tra le due palazzine, invece di vedere i binari della ferrovia, vedo una nuvola bianca, una nube di gas, un muro alto circa trenta metri. La puzza di gas è devastante. Capisco che di lì a poco poteva succedere qualcosa di tremendo, troppo gas in giro e la nube di gas che aveva già invaso la strada sotto casa, mentre qualcuno stava già uscendo per strada”.
Il mio pensiero va subito alla famiglia Piacentina, che abitava proprio in quelle palazzine a due passi dai binari. Penso al piccolo Luca, il bambino dai capelli rossi che faceva l’asilo con mia figlia. Luca, il piccolo trovato carbonizzato da solo nell’auto, dove i genitori, nel tentativo di fuga, l’avevano messo al riparo, pochi istanti prima dell’esplosione. Quella notte persero la vita anche suo fratello Lorenzo e la sua mamma Stefania. Sono sopravvissuti solo il fratello maggiore Leonardo e il padre Marco, tuttora in ospedale (http://www.corriere.it/cronache/09_luglio_01/bambino_inseguito_auto_mamma_5da94464-6605-11de-8bcb-00144f02aabc.shtml).
“Chiudo la finestra e urlo a mia moglie di salire in mansarda. Lei, presa dal panico, comincia a gridare, vuole telefonare, la prendo per un braccio e la porto su in mansarda, dove sono le camere e dove mio figlio di 17 mesi dorme sereno. Qui esplode tutto, le grido, lei urla, piange, prendo degli asciugamani da bagnare, vado in bagno e mentre li metto sotto l’acqua, ripensando a quella nube di gas, corro a prendere mio figlio, siamo tutti in una stanza, per una attimo penso che stiamo aspettando la morte. Sono attimi di panico, sono passati neanche 30 secondi da quando mi ero affacciato alla finestra ed ecco il boato. Un boato tremendo e subito dopo le fiamme. Dalla finestra sul tetto della mansarda vedo una lingua di fuoco che copre il cielo, che va oltre la casa e torna in dietro. Apro la porta e vedo che di sotto ha già tutto preso fuoco. Se eravamo rimasti in salotto un attimo di più a pensare a cosa fare eravamo morti, così come se eravamo scesi per strada. Quando ho aperto la finestra e ho visto quella nube di gas, ho avuto la fortuna di capire che era troppo tardi per fuggire, che sarebbe bastato un nulla per trasformare quel gas in una bomba. Apro la finestra e comincio a gridare aiuto, ma l’inferno era già iniziato. Un attimo dopo l’esplosione il fuoco aveva già invaso le case, le macchine esplodevano una dopo l’altra, suoni di allarmi e urla strazianti venivano soffocate dal rumore devastante del fuoco. La mia casa ha retto abbastanza bene all’onda d’urto. Le case adiacenti sono crollate. Il primo piano era già invaso dalle fiamme. Dovevamo uscire di lì. Prendo mio figlio in braccio e usciamo dalla finestra della mansarda. C’era un calore intenso tutto intorno e lingue di fuoco erano ovunque. Saltiamo giù dal tetto su un altro tetto che è circa un metro sotto, poi dobbiamo saltare ancora un paio di metri per raggiungere un muretto: l’unica via di fuga, in direzione opposta alle fiamme. Accanto al muretto c’è una tettoia. Era di plastica e il calore l’aveva praticamente sciolta, ma non me accorgo e appena ci metto un piede vado giù. E’ lì dove mi sono rotto le costole. Ho mio figlio in braccio, ma per fortuna cado di schiena e lui non si fa nulla. Ma ha gli occhi chiusi, sono terrorizzato, lo scuoto, apre gli occhi, non piange. Non riuscivo a respirare, pensavo di essermi forato i polmoni. Mia moglie grida, piange. Riesco a restare lucido e a passarle il bambino. Non come ma sono riuscito a risalire sul muretto e a salvarmi. Nelle case adiacenti casa mia vivevano 33 persone, 20 sono morte. Ho vinto l’enalotto della vita.”
Lui è sopravvissuto, ma le vittime sono al momento 29, l’ultima è morta pochi giorni fa e altre 4-5 persone sono tuttora in pericolo di vita. Nessuna inchiesta è stata ancora avviata, nessuno imputato, certo in qualche procura ci sarà un fascicolo aperto con la scritta Strage Ferroviaria. Ma al momento è tutto fermo, anche a livello comunale si affoga nel mare della burocrazia per la ricostruzione delle case. L’avvocato dei familiari delle vittime e dei sopravvissuti è sbalordito da questo immobilismo. Prima o poi la pigra macchina della giustizia italiana si metterà in moto, partorendo l’ennesimo processo decennale, con le sue vittime, i soliti sospetti e senza colpevoli. Sono passati 2 mesi da quei giorni in cui regnava uno strano silenzio per le strade adiacenti la stazione. Tutto transennato per settimane, la bonifica dei vagoni, le bandiere appese alle finestre in segno di lutto, i furgoni delle tv e la polizia ovunque. Sono passati solo 2 mesi e nessun giornale, nessuna tv ne parla più. Eppure ricordo bene la frase “sono venuto a prendere la situazione in mano”, ma lo Stato non ha ancora fatto una mazza, o meglio è arrivato un “benefit” forfetario di 7500 euro per “ricomprare” l’auto bruciata. Gli altri aiuti concreti sono arrivati dalle associazioni di volontariato: 5000 euro a famiglia. Sono passati 2 mesi e sembra tutto tornato alla normalità, ma non è così, anche se son spenti i riflettori. Ma del resto sentite più parlare del terremoto di L’Aquila? Eppure son sempre tutti nelle tende. E quante di queste cose ricordate nel corso dei decenni? Ci rassegniamo dicendo che in Italia va così, ma forse è questo il primo grande errore che tutti commettiamo.

lunedì 10 agosto 2009

1994


Il mucchio

Ho sparato nel mucchio
stanotte.
Le voci, le urla. Il silenzio.
L’acqua limpida
nell’ora di pausa
si colora di rosso.
Sono nel mucchio,
da solo.
Soave e leggero
guardo la notte

13/01/94


Quiete

E poi ritorna la quiete,
ritorna quando di voci fedeli
l’eco rimane e appena smorzati
gli umori consueti.
Ritorna a noi che ancora cerchiamo
un posto per riposare.

20/01/94


Mio fratello suona il flauto

Nella sabbia serpeggiano,
tra abiti bianchi, le note.
Le sento, ora lontane, ora vicine.
Mio fratello mi guarda, mi scruta,
mi racconta delle sue donne,
in stile libero si lancia in sonate di Mozart e Beethoven.
Mio fratello suona il flauto,
terzo negli occhi si china su un fianco,
lascia cadere sulle spalle i capelli
e le note per terra.
I gesti, quelli consueti, mordono le labbra.
Mi guarda, mi offende,si scusa
E il panino se lo mangia da solo.

14/01/94



L’equipaggio

L’equipaggio è pronto.
All’orizzonte fugge un altro giorno.
Un fischio, il vapore,
la febbre che sale.
Si parte.
Ognuno al suo posto,
ordine e disciplina.
E’ gente comune,
che lavora, respira, suda
e salva l’anima quanto possibile.

24/10/94


Nel nulla

Nulla nel nulla,
come sempre parole.
Ancora e poi ancora,
non è mai troppo tardi
per finire nel nulla.
Nulla per nulla,
fin che non busseranno alla porta,
per portarti nel nulla.
Nulla di nulla,
come sempre queste parole
finiranno nel nulla.

15/02/94



Il poeta e la musa

Ne ho piene le tasche
di matrici, integrali, rotori,
elettroni eccitati e lacune.
Lungo la costa frammenti di amici.
E inseguo la musa
sulla cresta dell’onda
che lontano respira.
Vive nel sonno di un smarrito,
che corre lungo la costa,
aspettando da sempre
il silenzio perfetto.

15/06/94



Dopo la pioggia

E’ notte e scrivo e piove.
Il buio il passato circonda.
Goccia dopo goccia,
nel suolo finisce la pioggia.
Un triste veleno,
rimasto in gola,
racconta l’immenso
di un lurido cielo
dopo la pioggia.

21/03/94



Camelot

Bruno è il giorno
di dicembre nell’aria,
di un bosco a morire.
Camelot è in fiamme.
Chiamate Artù, fatelo bere.
Ginevra sorride
nel suo abito bianco,
che ne risalta i colori.
E ombra è la seta
come un ricordo di terre lontane,
come Lancillotto,
Tristano e Merlino.
Chiamate Artù, fategli bere
il sangue nel Gral,
già santo in dicembre.
Camelot brucia,
il bosco muore come un mare in bollore.
Chiamate Artù, fatelo bere
senza rimpianti,
tanto poi arriva la primavera
passa l’estate, ritorna Natale.


20/12/94

venerdì 31 luglio 2009

Voce



Piove
in una sera di maggio.
PIOVE.
Pioggia che non bagna.
Nel silenzio
come un eco
un suono metallico
SQUILLA.
Pronto...
la tua voce,
il tuo respiro
oscurano la pioggia,
riempiono il mio corpo
NUDO.

Come un bimbo
che succhia il latte
dalla mammella
mi nutro delle tue parole.
VOCE,
la tua voce
e` un suono che vola basso,
che mi penetra e mi colora.
Cerco di afferrare ogni nota
e farla mia, almeno per un istante,
forse per sempre.
VOGLIO,
voglio sentire
il tuo piacere.
Voglio dipingere
sulle pareti smorfie e sorrisi
che adesso non posso vedere.

E se mi suda
il CUORE.
E se mi vibrano
le gambe.
E se mi dimentico
pensieri e sospiri
che tanto hanno atteso
per sbocciare
e’ solo perche`
sono in una
spiaggia dove
non battono
le ONDE,
e` solo perche`
sono un uomo.
Solo un
UOMO.

Nel silenzio
ritorno.
La tua voce
e` ancora dentro di me.
VOCE,
voce lontana
che si spegne nella pioggia,
che dorme nella notte
cullata dal rimpianto
di aver strozzato in gola
quella parola.
AMORE.

venerdì 17 luglio 2009

Sinistri


Era il silenzio.
Polvere, tabacco e grida.
Il tuo giardino,
la tua erbe, la tua terra, le tue radici.
Il tuo volto sereno,
i tuoi jeans dietro un velo,
nella tua barca di legno,
in un mare spalmato nel verde.
Ricordi confusi, rabbia e dolore.
Paura.
E poi domani…
Cerco le barche in rada,
le vele, un onda di vento,
un mare piatto e la sottile linea
che divide il cielo e il mare,
come una bocca chiusa, la tua.
Sarà il silenzio.

13/07/2008 A Dino

lunedì 29 giugno 2009

Parcheggio


L’estate è iniziata e la versilia è stata invasa da quelli che chiamiamo bagnanti o villeggianti, i soliti lucchesi, fiorentini, pistoiesi e pratesi; quest’ultimi spesso riconoscibili dall’inguardabile sandalo con calzino bianco. Nel fine settimana la spiaggia sembra un puzzle di Mordillo e il problema del parcheggio è un vero e proprio incubo. Domenica la darsena era invasa da biciclette, scooter, moto e macchine, parcheggiate in tripla fila, sui marciapiedi, sugli alberi e sulla pista ciclabile, alla faccia di chi come me si becca la multa quando c’è il lavaggio della strada e non trovando posto è costretto a parcheggiare alla cazzo. Per fortuna di luglio e agosto il lavaggio è sospeso, ma resta il problema del parcheggio e non solo nel fine settimana. Io abito in una via centrale di Viareggio e quando arrivo la sera dal lavoro trovare un parcheggio decente è impossibile. Dopo il tipico quarto d’ora passato a girare come la merda nei tubi, parcheggio nei soliti posti dove so che non mi fanno la multa, fottendomene del fiorentino di turno che puntualmente si affaccia alla porta per dire che sono troppo sul marciapiede e non ci passa con la bicicletta. Quando scendo dalla macchina e sento “icchè tu fai?” rispondo: “spiribindi”, aspettando l’inevitabile “è” per dire “puppa” e proseguire per la mia strada senza voltarmi indietro. Tipicamente il fine settimana giro in bici. Capita però di dover prendere l’auto, parcheggiata a fatica vicino casa il venerdì sera, per poi lasciarla a qualche km poche ore dopo, al rientro da una cena. Sabato quando sono rientrato c’era solo un posto sull’angolo della strada, ma memore di quanto accaduto l’anno prima, ho evitato. L’anno scorso, infatti, al rientro da una cena prendo la bimba e la porto a letto, mentre mia moglie parcheggia l'auto. “Dove hai parcheggiato?” chiedo. “E’ parcheggiata un po’ male, ma è qui vicina”. La mattina dopo esco con la bimba, faccio due passi e all’angolo, dall'altra parte della strada, vedo un anziano che inveisce contro il nulla. Aveva uno di quei carrelli a due ruote per aiutarsi a camminare, avendo evidenti problemi di deambulazione. Il vecchio era davanti ad una macchina parcheggiata sull’angolo, che gli ostruiva il passaggio; lo guardavo e mentre aveva iniziato a sbattere il suo carrello contro la macchina, realizzo che quella era la mia macchina. Mi tornano in mente le parole della sera prima “è parcheggiata un po’ male…” . Prendo Giulia e gli dico: “aspettami qui, non ti muovere”. Attraverso la strada di corsa, bestemmio, mentre il vecchio si stava avventando sul tergicristallo. Arrivo di corsa e afferro il tergicristallo sperando di salvarlo. Era troppo tardi. Un attimo dopo mi trovo il tergicristallo in mano conteso dal vecchio che schiumava rabbia. “Che cazzo fai” gli grido. ”Guarda come ha parcheggiato questo coglione” mi risponde. “Questo coglione sono io” replico incazzato e impotente. Mi prendo il tergicristallo, lo mando a cagare e gli sposto la macchina. Torno da Giulia che affatto spaventata e piuttosto incuriosita, storcendo la testa mi chiede: “cosa aveva quel signore?” la guardo sorridendo e rispondo: “chiedilo a quel genio della mamma".

venerdì 26 giugno 2009

Il senso della vita


Io non sono religioso e il mio essere agnostico non mi aiuta a capire cosa sia questa cosa oscura che chiamiamo vivere. Il senso della vita e’ un argomento di cui si potrebbe parlare all’infinito, senza trovare una risposta. Saro’ banale, ma credo che il senso della vita stia nei piccoli gesti quotidiani che fai per un amico, per tua madre o tuo padre. Sta nelle carezze ad un figlio o ad un cane. Sta nello sguardo assente di tua nonna. Sta nelle fusa di un gatto e nel ruggito del leone. Sta nelle onde del mare e tra le gambe delle donne. Sta nel dare una mano, quando te la chiedono. Sta in un sorriso e in un gesto d’assenso. Sta nel breve spazio che separa il ti amo da un bacio. Sta in un piatto di pasta e in un bicchiere di vino in compagnia. Sta nel perdono e nell’odio. Sta nel dire quello che pensi, ma anche nel silenzio. Sta nel saper aiutare gli altri, ma soprattutto sta nel rispetto degli altri e di te stesso. Ecco io non sempre ho avuto rispetto di me stesso, ma sono convinto che, anche se ho 40 anni, posso essere migliore.
Penso anche che il senso della vita è dare la vita. Questo può essere fare un figlio, ma anche dedicarsi interamente ad una persona, saperla amare davvero. Un altro modo di donare la vita è donare gli organi. E’ una cosa a cui penso spesso. Ma sono mezzo cecato e niente cornee, fumo e bevo, quindi niente polmoni e fegato, lo stomaco e’ quello che e’, per non parlare del reni o della milza. Quindi alla fine mi dico: che cazzo dono? Ecco potrei donare giusto quello.

lunedì 22 giugno 2009

1993 (2)


Cix

L’ho visto entrare
nell’atmosfera e incendiarsi.
Ancora rovente planare,
sedersi e accendermi
con lo sguardo.
Le sue espressioni trionfo delle mani,
diesis sul fa gli occhi e le parole.
Cix era il suo nome,
e apparve dal nulla in un giorno di sole,
quando il bosco era un giardino.
Nessuna paura, nessun dolore,
quando getto' la maschera
e si fece accoltellare.


Senza rimorso

Appeso per le braccia,
guardo i sogni galleggiare
nell’aria fredda di dicembre.
Stringo i lacci e guardo fuori.
Vedo mia madre
tornare stanca dal lavoro;
dietro il vetro, sotto le coperte,
non ho sentito dolore.

12/02/1993



Lesione cerebrale

Un cono di luce,
di luce di fuoco.
Sento elettroni e vetri
colpirmi violentemente.
Sangue.
Il buio senza riflessi.
Bocca asciutta,
mani e orecchie calde.
Sogno il fiasco
e la sua forma così geniale.
Mi sveglia uno sparo,
uno sparo di luce:
buongiorno dottore.

12/02/1993



40 Hogarth road

Solo ora che le distanze
diventano infinite,
vergogna non provo
dei sentimenti che la mente cova.
Ora che sento fragili i capelli,
lunghi come la strada
che beffarda ci divide.
Ora che novembre
è di nuovo arrivato
e noi abbiamo perso
l’inizio e la fine.
Ora che cerco 40 Hogarth road,
su una carina di Londra,
e guardo le selle, l’unica cosa
che abbiamo da spartire.

14/12/1993



Sogno nero fuxia

Non ti ricordavo così bionda.
“Che buono questo caffè”.
Sai, forse abbiamo sbagliato.
“Cosa facciamo stasera?”
Non credevo di trovare miele
nel pozzo di creta.
Forse non abbiamo sbagliato niente.
Ti ricordi quando mi dipingevo
La faccia di bianco e blu
sfumando la cornice?
“Il soffitto mi piace verde”.
Ho iniziato a colorare i sogni,
l’ultimo era nero e fuxia.
“Ho voglia di fare l’amore”.

14/04/1993



Fiori blu


Continua il deserto dietro le dune.
Fuggono nel nulla le nostre paure.
Cammino, corro in cerca di fiori blu.

20/02/1993




Ognuno

Ognuno travolto da sguardi
tarda a reagire.
Ognuno continua da solo
nel proprio dovere.
Ognuno è uno
sempre e comunque.

13/1071993



Sporgenze

Son qua con la mia pelle
ad ascoltare le voci
che ho scelto.
Son qua con le sporgenze
che mi ritrovo.

27/03/93

giovedì 18 giugno 2009

Cronaca di una morte annunciata


Ecco un'altra email che doveva essere pubblicata su questo blog. Era un sabato di qualche anno fa, ricordo che nel tardo pomeriggio avevamo fatto l'asta della Troy Cup al bar del mercato dei fiori. La sera c'era il rione Darsena dove Stanley ci regalo' una grande prestazione, magistralmente raccontata nella email sottostante dal Merlo.


Solo i fatti. Illustreremo solo i fatti. Il nostro era già in grande forma al suo arrivo al CRO.
Stato alcolico interessante, di gran lunga. L'aspetto non era dei migliori, turbante e gota rossa dipinta, ma questo è "as usual".Ha continuato a bere cubalibre...neanche accorgendosi di cosa beveva, si presume. E' finito in terra diverse volte, ma questo fa parte del divertimento alcoolico.
Veniamo a noi. Verso l'una e mezza, mi offro di accompagnarlo a vomitare.
Andiamo dietro la Pesa, e mentre si infila le dita in gola tre o quattro tipi lo riconoscono: cominciano a fotografarlo gottante, al che lui, espletata l'opera, inizia uno sputo selvaggio verso di loro, almeno 8/9 torcini ben lanciati. Passato il quarto d'ora di "sto meglio, ora", comincia a stressare di voler essere accompagnato a casa. Ride, casca, implora e si incazza.
Mentre insiste violentemente, lollo è chiamato da una tipa.Ci si mette a parlare. Il nostro, per farsi portar via (il boy aveva la macchina), aggredisce lollo mordendolo a un braccio. Riesco a separarlo, lascio lollo al solito fraseggio a centrocampo e mi avvio col nostro sottobraccio verso la di lui macchina,posizionata dice, al mercato dei fiori. Evidentemente era a quello della frutta. Lo trascino dal CRO a Scintilla, un peso morto, biascicava due concetti:"che figura, qui faccio il colloquio a tutti" , "se mi porti della topa, la trombo". Arrivati finalmente alla twingo, gli chiedo le chiavi per poterla guidare.Non mi risponde, e ricomincia a vomitare. Un tipo vestito da biancaneve ci chiede se abbiamo bisogno di aiuto. Fatta anche 'sta gottata, e pulitosi come sempre al vestito, mi dice di frugare nei calzini. Le chiavi erano lì.Lo carico in macchina, di peso, mi metto alla guida e infilo la chiave: la macchina non parte. Provo molte volte, sembra ingolfata.
Il nostro mi infama continuamente..."portami a casa, portami a casa...".Provo a chiamare lollo, ma il centrocampista non ha portato il telefono. Tattica zero.Bene, mi prendo il nostro sottobraccio e lo porto, via ponte di Pisa, a casa mia.
Un viaggio lunghissimo. IL nostro è peso, e non stava proprio in piedi. Nel tragitto vomita altre due volte. Arrivati finalmente a casa, lo piazzo sulla smart. Sarà la macchina fighetta, ma appena montato gli vieneun altro conato. Lo spingo fuori e rivomita.
Infine lo accompagno al Norge ("dove è prima dello zara o dopo?" "boh...").Apro la porta, si butta sul letto e me ne vado.

martedì 16 giugno 2009

Arselle


Questo fine settimana mi sono fatto una due giorni di mare sulla solita spiaggia che frequento da sempre e come sempre mi sono preso la prima tranvata di sole. Domenica mattina arrivo al mare, poso alcune cose in cabina, saluto mio cognato che insegue i suoi figli che non si vogliono spogliare e vedo un costume pronto per essere indossato. Mi metto il costume, vado al bar, prendo il caffè e raggiungo mia moglie e mia figlia all’ombrellone, mentre mio cognato litiga con il proprietario del bagno. Più tardi vedo arrivare mio cognato con un costume a castraggio lento; sarà stato almeno un paio di taglie al di sotto della sua. Gli chiedo cos’era successo. “Ho dovuto mettere questo costume perché hanno rubato il mio, l’avevo lasciato davanti alla cabina e non ce l’ho più trovato, quando l’ho detto al proprietario del bagno mi ha fatto arrabbiare, perché diceva che era impossibile... a proposito, hai il costume uguale al mio”. Mi ero messo il suo costume. “Scusa, ma è un boxer nero come il mio e pensavo che me lo avesse preparato Roberta”. “E perché avrei dovuto prepararti il costume?” Interviene mia moglie. Già perché avrebbe dovuto? Comunque mi sono tenuto il costume alla faccia delle palle di mio cognato. Però pensando a una teoria di una mia collega, visto il caldo che faceva e la tenuta stretta, quella sera mio cognato avrebbe potuto trombare senza problemi d’inseminazione.
Ho passato gran parte del tempo a fare il bagno con mia figlia. Abbiamo fatto le arselle con mani. Era incredibile, bastava mettere la mano nella sabbia per trovarle, per la gioia di mia figlia. Le arselle a Viareggio si chiamano anche nicchi, da cui deriva la nicchia, uno dei tanti modi di chiamare la topa. Tra un’arsella e l’altra notavo come erano cambiate le mode negli anni, ma la movida che caratterizza la spiaggia fosse sempre uguale a se stessa.
Le classiche icone da spiaggia, erano le solite di sempre. La sfilata di quelle donne gìà con un’abbronzatura invidiabile a marzo. La tettona che gioca a racchetoni sulla battigia e il bimbo che muove la testa seguendo la palla, mentre il padre, con la testa rigida, non stacca gli occhi dalle tette, magari pensando ad un altro genere di… rocchettone. La coppia di palestrati, di solito sono in coppia come i carabinieri, che fa su e in giù almeno 20 volte, muovendosi in modo da evidenziare, addominali, dorsali, bicipiti, tricipiti e pettorali esenti pelo, guardandosi intorno cercando consensi. Il coglione, tipicamente pistoiese, che arriva di corsa e si tuffa in mare, rischiando di travolgere un altro coglione che fa i nicchi con le mani. Il timido, bianco come un cadavere, che invece impiega 40 minuti prima di tuffarsi bagnandosi prima ripetutamente polsi, tempie e pancia. Lo splendido che palleggia, quello che fa le parole crociate e culi e tette come la sabbia. In quel flusso continuo di onde e curve sinuose, è arrivato puntuale quell’istante che non ha età, dove l’essere uomo prevale su tutto e vedi solo la fica. In quel frangente che fugge via veloce, come un albanese inseguito da un leghista, vorresti trombarle tutte, senza remore sulle chiappe mosce o i polpacci alla Materazzi, sulla cellulite o sui peli sulle ascelle.
La sera ero cotto come un befanino e alle nove sono crollato insieme a mia figlia. Prima di addormentarmi il mio pensiero è tornato alla spiaggia uguale a quella di più di vent’anni fa, quando su quella spiaggia facevo il bagnino. La sera rastrellavo la spiaggia e poi andavo a ballare e la mattina alle sette ero di nuovo in spiaggia, magari con gli occhiali da sole per legittima difesa, pronto ad accogliere le ragazze sotto l’ombrellone.
Alla fine mi sono addormentato cosciente che l’unica cosa che era cambiata ero io, che raccoglievo i nicchi sulla sabbia invece della nicchia sotto l’ombrellone.

venerdì 12 giugno 2009

Gelatino


Un paio di settimane fa ho conosciuto Shiraz, un mio collega di Coventry, anche lui indiano come Sid, con cui lavoro da circa un paio di mesi. Shiraz è stato tutta la settimana a Pisa e per me e’ stata l’occasione di fare un po’ di pratica col mio nemico amatissimo: l’inglese. Shiraz ha appena 26 anni ed è molto simpatico, ma soprattutto parla lentamente e scandisce bene le parole, quindi riesco a capirlo abbastanza bene, lui invece mi capisce un po’ meno, infatti, spesso mi diceva: “what do you mean?” Una sera siamo stati anche a cena insieme. Prima però abbiamo fatto l’inevitabile tappa a piazza dei Miracoli. Siamo arrivati davanti alla Torre pendente al tramonto, Shiraz appena ha visto il coglione di turno che faceva la classica foto made in Japan, l’ha voluta fare subito anche lui. Non solo, ha voluto immortalare anche me in quella posa che ero riuscito ad evitare per 40 anni. Shiraz ha scattato una trentina di foto in pochi minuti, ha voluto fare anche una foto insieme, a quel punto se qualche passante avesse pensato a noi come una coppia gay in gita di piacere, l’adulto col giovane indiano da monta, come avrei potuto dargli torto? La serata è stata la tipica prova del nove, perchè un conto è parlare di cose tecniche in ambiente lavorativo, un conto è parlare del più e del meno, nel mio caso direi solo del... meno. Abbiamo mangiato pesce e Shiraz ha fatto scegliere a me le portate e ha gradito molto il cibo. Avevo scelto anche una bella bottiglia di vino, ma quando ho fatto per versare il vino lui ha risposto picche, dato che non poteva bere alcolici essendo musulmano. Io ho bevuto vino, lui ha bevuto coca cola. Secondo me anche Maometto avrebbe avuto da ridire sulla coca cola col pesce. Non sono mancati i momenti di puro panico, come quando Shiraz mi chiedeva gli ingredienti di un antipasto o che pesce stavamo mangiando. Ho sudato le sette camicie per spiegargli che stava semplicemente mangiando un cazzo di totano. Shiraz mi ha confermato che alcuni inglesi sono proprio stronzi perché non fanno nessuno sforzo per farsi capire. Un esempio classico e’ quella ragazza che avevo conosciuto a Coventry che sembrava un ventriloquo, lui mi ha detto qualcosa del tipo: “she has lips frozen”. Shiraz mi diceva che è facile capire gli italiani perché quando parlano gesticolano e sono molto espressivi. A lui piace molto questo, a differenza dei suoi colleghi inglesi, che in generale non hanno un bel parere sull'Italia e sugli italiani. Pensando a Berlusconi mi sento un po' anglosassone pure io. Ci sono comunque delle mosche bianche come il mio insegnante d’inglese. Lui faceva il giornalista a Manchester e aveva un tenore di vita molto alto. Ha preferito mollare tutto e venire a vivere in Italia dove guadagna assai meno, ma dove, a differenza dell’Inghilterra, quando entri in banca o alle poste, sai quando entri, ma non sai quando esci. Per non parlare di quando si va in Comune, o quando devi sbrigare qualsiasi questione burocratica. Lui adora tutto questo. Noi italiani un po’ meno.

In ogni modo è stata una piacevole serata e alla fine mi sembrava di avere quello che si dice inglese fluente, forse perché mi ero bevuto l’intera bottiglia di vino. Quella sera ho scoperto che Shiraz va matto per il gelato, che lui chiamava gelatino. Shiraz deve averne mangiato parecchio in quella settimana, dato che poi mi ha scritto: “I ate too much gelatino in Italy”. In questi giorni stiamo preparando insieme una demo per Vodafone che faranno in UK, quindi ci sentiamo spesso al telefono. Ieri mi ha preparato il test plant e poi mi ha mandato un mail con su scritto: “I have moved the files to mhl08..enjoy :-)”
Quando, pochi minuti dopo, mi ha chiamato gli ho detto: ” enjoy un cazzo”, l’ha capito al volo perche’ si e’ messo a ridere. Ovviamente io lo chiamo Gelatino e lui Lui mi chiama Man. Insomma sembriamo proprio due checche.
La mia battaglia con il mio nemico amatissimo continua, a volte mi sembra di fare progressi, direi slowly but surely, altre invece mi deprimo come quando al telefono m’incarto come una caramella. Sicuramente sto messo meglio del mio amico Riccardo che alla domanda: “do you remember?” Rispse: “I member”.

giovedì 11 giugno 2009

1993


Voci

Capita a volte di sentir voci
nei corridoi deserti,
come parole e rumori lontani.
Capita spesso di rincorrerle
fino a non sai dove,
poco importa, basta fuggire da lì.

27/01/93



Fuga

Fuggo i secondi
Che la sveglia comanda,
incurante del giorno
che ansioso mi attende.
Fugge da me ogni rimpianto
coperto da aghi di pino
nel mare d’autunno.
Fuggo lontano
nel corpo che muovo,
mescolando le carte
nell’istante opportuno.
Fuggo nel blu
che la mente circonda
incanalando minuti
di opache espressioni.

12/10/93



Le mani

I gesti della mani,
le loro vibrazioni,
suoni e oscillazioni,
in silenzio si consumano,
dopo un attimo già dimenticate.
Poi ritornano prepotenti,
quando rimangono solo loro
e spazi vuoti nella testa
a tener vivo chi non c’è più.

10/03/93


Bianco

Pochi giri di lancette
e bianco tutto era intorno.
In un attimo mi sentii impotente,
ancora una volta di fronte al silenzio.

17/11/93



Figure

C’e’ vento sulla collina,
fumo di sigaretta nella stanza.
Mattonelle antiche, ossa e pelli,
la sabbia e i soliti pensieri.
Non mi spaventa morir
per gioia o per dolore,
quando son io la causa
del vivere e delle sue figure.

20/01/93


Tramonti

Tramonta il sole.
Tramontano i sogni.
Tramontano le persone,
tramontano in un attimo,
come il sole ci lasciano al buio,
come i sogni ci lasciano speranze.

03/11/93

Autunno

Il vento ancora caldo
I gabbiani sfiora.
E batte il porto senza farsi notare.
Si consumano i primi riti della pioggia,
come non bastasse il lento scorrere
delle occasioni a renderci complici del nostro destino.
Passano velocissime le nuvole
e noi guardiamo causa ed effetto,
cercando la voglia di studiare.
E la finestra di fronte, un quadro per studenti.

20/10/93

mercoledì 3 giugno 2009

Paolo Maldini


Era l’estate del 1984, avevo appena finito il mio primo anno all’Istituto Tecnico Nautico, l’impatto con la scuola superiore non era stato dei migliori, infatti, ero stato rimandato in due materie: matematica e inglese, ovviamente. In quegli anni correvo in bicicletta, ero una promessa del ciclismo toscano, almeno cosi’ diceva il mio allenatore, che evidentemente non ci capiva un cazzo. Comunque passavo piu’ tempo in bicicletta che a studiare e i risultati erano quello che erano. Passai l’estate tra lezioni e allenamenti. La mia insegnante d’inglese era una zitella acida che in due mesi affogò la mia già scarsa voglia d’inglese. Le lezioni di matematica le facevo da un professore che raggruppava gli studenti in gruppi piu’ o meno omogenei; le sue lezioni erano molto frequentate e, soprattutto, c’erano molte ragazze. Erano gli anni dei Duran Duran e degli Spandau Ballet, dei paninari e dei metallari, di Carl Lewis e Andreotti, del Drive in e delle Charlie's angels, ma per me era il periodo della prima, grande tempesta ormonale e tra nautico e bicicletta di fica se ne vedeva poca o punta. Mi piaceva molto andare a ripetizione di matematica.
Quell’estate a lezione c’era un certo Maldini. Viareggio era da sempre la meta estiva di suo padre Cesare. Ho un vago ricordo di quel ragazzo timido e impacciato, che nell’inverno seguente, il 20 gennaio 1985 con Nils Liedholm in panchina, esordì in serie A, a soli 16 anni. Quell' anno la Juventus vinse la sua prima Coppa Campioni, battendo il Liverpool allo stadio Heysel di Bruxelles; una finale segnata dalla strage in cui morirono 39 persone.
In pochi anni Maldini divenne un pilastro del Milan e della nazionale. Ricordo cinque anni dopo, quando ero in crociera di fine corso, durante la sosta a Dubrovnik, rasa al suolo pochi anni dopo, si riuscì a vedere 90° Minuto di Paolo Valenti, con Luigi Necco che raccontava sommessamente la sconfitta del Napoli di Maratona per 2-3 nell'incontro decisivo contro il Milan al San Paolo il 1 maggio 1988. Quello era il Milan di Sacchi e degli olandesi, Rijkaard, Gullit e Van Basten. Ma era già anche il Milan di Maldini, che quindici anni dopo, il 23 maggio 2003, all’Old Trafford di Manchester, sollevava la Champions League a 40 anni esatti di distanza dal giorno in cui il padre si laureò campione d’Europa, anch’egli come capitano del Milan e anch’egli in Inghilterra (a Londra).
Nonostante praticassi il ciclismo ho sempre seguito il calcio, fino a diventare un vero e proprio tifoso. Ricordo che alla fine di una gara erano tutti contenti per la mia vittoria, ma io ero incazzato perchè avevo saputo della vittoria della Juventus che si era laureata campione d’Italia con un punto di vantaggio sulla mia Fiorentina. Era l'ultima giornata, Catanzaro - Juventus 0-1, rigore di Liam Brady e Brio stampò una gomitata in faccia al centravanti, Carletto Borghi, e l'arbitro - sfortunatamente - non trovò il fischietto. Uno scudetto quanto meno sospetto che diede origine al mitico detto: meglio secondi che ladri. L’evento che mi spinse definitivamente verso il baratro del tifo avvenne nel 1982, l’anno de Il tempo delle mele, di E.T. e Blade Runner, ma soprattutto l’anno in cui Italia di Bearzot vinse il mondiale in Spagna, con l’urlo di Tardelli dopo il gol nella finale contro la Germania.
Due domeniche fa Maldini ha giocato l’ultima partita a San Siro e alla fine, quando ha fatto il giro di campo, mi sono commosso. In quei minuti d’ovazione c’era un quarto di secolo giocato con la stessa maglia, c’erano 7 scudetti e 5 Coppe dei Campioni. In quei minuti nella mia mente si sono intrecciati i ricordi di un quarto di secolo di vita, tra calcio e realtà. Gorbaciov, la Perestroika e il Verona di Osvaldo Bagnoli. Il bagno di sangue degli studenti cinesi a piazza Tien an Men, il crollo del Muro di Berlino e la MaGiCa (Maratona, Giordano, Careca) del Napoli. La prima guerra del Golfo e le notti di Italia 90 con l’esplosione di Totò Schillaci. Il primo scudetto della Sampdoria di Vialli e Mancini. Boris Eltsin e la dissoluzione della vecchia URSS. La strage di Capaci e Tangentopoli. Il dominio del Milan di Capello, Bettino Craxi a Hammamet e Berlusconi che scende in campo. Cecchi Gori e la Fiorentina in serie B. La guerra civile in Jugoslavia, la mucca pazza e il mondiale 1994 negli USA, perso ai rigori contro il Brasile con gli errori dal dischetto di Baggio e Baresi. Clinton che fa firmare la dichiarazione di Washington a Rabin e Arafat, festeggiando poi con lo storico pompino della Lewinsky. Putin e la guerra in Cecenia. Le 168 reti di Batistuta con la maglia viola. Il Parma di Tanzi, la Lazio di Cragnotti e Giovanni Paolo II che va a trovare Fidel Castro. L’avvento dell’euro e lo scudetto della Roma di Totti. L’attacco del 11 settembre alle Torri Gemelle, Osama bin Laden e la guerra ai talebani in Afghanistan. Bush, la Guerra in Iraq, Saddām Husayn e la Juventus di Moggi. Al-Qaeda, la SARS e il mondiale vinto dall'Italia di Lippi in Germania contro l’odiata Francia. Lo Tsunami in indonesia, calciopoli e la Juventus in serie B, finalmente. Il dominio dell’Inter, Barack Obama e Berlusconi ancora in campo e noi ancora ad aspettare che qualcuno alzi il cartello per chiedere la sostituzione.
Domenica scorsa Maldini ha giocato la sua ultima partita a Firenze. Alla fine si sono fermati tutti per applaudire gli ultimi passi da giocatore del capitano, l’ultima bandiera. La mia testa ha fatto “Indietro tutta”, come la trasmissione di Arbore di fine anni ottanta, per tornare ancora a quei mitici anni, quando non c'era internet, non c'era google, non c'erano cellulari, reality show, grandi fratelli e tutte quelle cazzate che ci propinano oggi in tv.
Ho un vago ricordo di quell’estate del 1984, quando incontrai quel ragazzo timido e impacciato che a 16 anni esordì in serie A.
E poi diventò Paolo Maldini.

mercoledì 20 maggio 2009

1992


Pegaso

Guarderò un giorno queste parole,
cercando forse gli anni che ci divideranno.
Quel giorno sarà tardi per le scuse,
Pegaso avrà perso le ali,
corti saranno i respiri, grigi i capelli
e i ripianti le ultime gocce del cuore.

10/03/92



Lo stendardo

Per i fatti, gli eventi,
mi son trovato a portare la bandiera.
Sul petto lo stendardo
e sulla schiena nuda
un po’ di vergogna.
Ma rimarranno solo i fatti e gli eventi,
e una lesione celebrale.

06/12/92

Ombre

Se ne vanno
le ombre della notte.
Se ne vanno
lasciando libero lo spazio,
già freddo e sudato.
Se ne vanno
Lasciando ghiaccio sottile
sotto le mie suole.

02/05/92

Un bel giorno di sole

Riesci a capirmi
Se ti parlo di me,
dei miei pensieri al tramonto?
Non credo dentro
e guardo fuori.
E’ l’alba e devo partire.
Tu hai varcato il limite
ed io ho finito le frecce
In un bel giorno di sole.

18/11/92

Carta sottile

Ricordo solo ora quei giorni deserti,
quando rincorrevo i miei anni
guardandomi bene dall’esser puntuale.
Arrotolavo favole e malinconie
nella carta sottile
E il pazzo di turno dipingeva le tele.

Ricordo solo ora quei giorni senza nome,
ora che mi piace la pioggia di notte,
mi piace vederla cadere
investita dai fasci di luce,
ora che forse sono cosciente
di cosa è sfuggito alla carta sottile.

13/04/92


Pensiero per un amico

Ho scritto anche per te stasera,
che dietro lo sguardo
fuggi i tuoi desideri,
che come me consumi i tuoi giorni
in stanze poco affollate.

Ho scritto anche per te stasera,
per vederti salire
con le bollicine fino alla cima,
prima che il vento
mi rubi il pensiero.

18/08/92


Fotografie

Fotografie, ne ho tante
E non solo negli album.
Le porto sempre con me,
le guardo, le faccio vedere
anche quando non serve.

14/04/92

Ofelia

Una stanza gelida,
verde negli angoli tetri.
Ofelia seduta, la tavola apparecchiata
e fuori una pioggia battente.
Porte, sedie e tegole urlano al silenzio.
Ofelia sola nella stanza
segue il riflesso di un piatto di porcellana,
insegue una minestra riscaldata.
Ofelia alza la testa
e chiede perdono per ogni peccato.

20/10/92

Mario

Mario e’ stanco di aspettare,
e’ stanco di ascoltare,
non ha voglia di parlare.
e non gli frega niente
di scoprire nuove situazioni.
Mario non ha voglia
di sentir sibilare nelle orecchie
Il culto del dovere.
Mario fa quanto può,
se è poco chiede scusa,
e la croce il manico della scopa.

21/09/92

L’estate bianca

In un’estate bianca
sbocceranno i nostri saluti,
quel giorno saremo coscienti
che anche a noi non è bastato l’amore.

13/04/92




martedì 19 maggio 2009

1991


TV

Sto aspettando ancora,
forse non lo sapevo,
ma lo facevo già,
prima ancora di pensarci.
Non rimane ora che guardare la TV.

13/09/91



Parole

Vivono le parole,
anche quelle non dette,
vivono nei meandri della mente.
Parole soffiate,
che non hanno prezzo,
Abbracciato al vento
seguo queste parole,
con un gesto d’assenso,
con lo sguardo e un rutto.

06/07/91


Da Tunisi a Cuba passando per Madrid

Guardo fuori dal cancello
Il sole arrossire.
Con un pensiero
arrotolato tra le dita
vago in silenzio
da Tunisi a Cuba
passando per Madrid,
mentre un penoso pensare mi assale…
i giorni volano più sono attesi.

03/02/91

Tempesta

E’ finita com’è iniziata
e qui dei morti in battaglia
neanche l’odore.
E’ come dire per poi non fare.
E’ come andare per poi restare.

22/03/91

Notte

Notte, lugubre sinfonia di silenzi.
Notte, immagine stemperata.
Ombre languide animate
da frenetiche interpretazioni.
La notte, vivere fuori.
La notte, morire di dentro.

09/06/91


Polvere

Signorina prendimi con te,
porta via la polvere
prima che sia io
a trascinarmi il corpo.
Signorina ascolta le mie lacrime,
che io farò lo stesso
quando ce ne sarà bisogno.
Signorina libera i sorrisi
che ho dimenticato,
correndo troppo in fretta
nei giorni di festa.

10/03/91

venerdì 15 maggio 2009

1990 (2)


Frammento

Com’e’ difficile
concepir la nostra esistenza,
non so se solo la mia
cosi’ intrecciata con altre
viste e poi svanite.

Questa continua rincorsa,
anche se pur breve,
di un frammento nel tempo,
forse troppo breve davvero
per essere afferrato.

19/06/90

Cella

In questi attimi profumati
di una notte di maggio,
non mi consola pensar
che in un tempo
non troppo lontano,
toccavo le stelle
non perdendo il cammino.

Stanotte sono lucido,
nella cella guardo il mio riflesso,
ascolto i miei silenzi
…e a stringer le mani
il sentir solo pelle.

03/05/90


Stanze

Le nostre stanze,
come i pensieri,
sono distinte e distanti,
la notte il buoi le confonde.

13/09/90

Il fiore

Avevo un prato
pieno di fiori,
ne colsi uno
cosi’ come facevo sempre.
Sorpreso lo vidi
tra le mie mani
sbocciar.

20/02/90


Era ieri quando…

Era ieri quando
i tuoi occhi parlavano di te.
Erano mattine che ci svegliavano,
erano notti che ci uccidevano.

Era ieri che
Comincio’ un’altra battaglia,
coscienti di stringer le mani
e col dubbio di sentir solo pelle.

E’ oggi dove
qualcosa e’ successo,
nel tormento silenzioso
di spazi vuoti e soli,
parole fiacche e polverose.

E’ oggi che
mordendo i tuoi giorni,
sei sulla riva e noi
silenziosi e distanti
a guardarti affogare.

E domani quando
i fatti racconteranno di noi
confonderemo questi ricordi.

03/04/1990

Uccelli

Oggi solo voi a parlare,
voi, un suono diverso.
Domani ancora piu’ alte
le pareti, le gabbie,
le vostre e le mie.

4/4/90

Il fortino

Sono tornato al fortino.
Ho visto i soldatini distesi,
senza timore
non li ho rialzati.

05/03/90


Ricordo

Cosa rimane adesso?
Adesso che e’ estate
e il vento ci ha preso il pensiero.
Resta un patino
Tra riflessi bianchi e verdi
In un bel giorno gia’ visto.

140/08/90

La Mela

Quanto tempo e’
Che cavalchi da solo,
che giri la testa
ed e’ tutto finito?
Quanto tempo e’
Che ti guardi intorno
Che non cogli la mela
Quando e’ matura?
Quanto tempo e’?
Un’onda e’ in arrivo
Per portarti lontano,
dimentica le stanze bianche
e le loro figure,
esci dal guscio
e cogli la mela
che adesso e’ matura.

08/02/90

lunedì 11 maggio 2009

Spagna



Dove il vento non soffia
riesco a vedere
cose che adesso
non posso toccare.

Ricordo quei visi
pieni di un sorriso
che trascinava la macchina
in una cavalcata da film.

Strade deserte
accompagnavano il sole
che disegnava i contorni
ai nostri vent’anni.

In Spagna tra tapas e polveri sottili,
coltivavamo sogni e bugie.
Adesso solo immagini ferme,
rimangono sul nostro cammino.

Lontano da occhi indiscreti
preferisco pensare
che partiremo ancora
lasciando a casa l’incoscienza

04/01/1991

mercoledì 6 maggio 2009

Marisa


Marisa, occhi grandi e muti,
celati da veli i suoi attributi;
sapore di giovane donna
le balze della gonna.

Strade di periferia
cornice a una macelleria,
lampi rosa di giovinezza
sfiorati dalla sua timidezza.

I giorni passavano lenti
accarezzati dai soliti venti,
solo la domenica per riposare,
ma ci sono i panni da lavare.

Nella macelleria senza miti
sguardi cupi di vecchi pervertiti
rendevano ancor piu’ pesante
avere il pizzo alle mutande.

Il padre ricco solo nell’eta’
non poteva pensare alla sua dignita’
e poi nell’immensa padana
non si fa caso alla sottana.

Marisa che tristezza
veder volar via la giovinezza,
e non basta dir quanto antica
dietro una vetrina e’ la vita.


Non poteva andare avanti cosi’
e decise di fuggire da li’,
incrociando le fragili dita
saluto’ commossa l’unica amica.

Non aveva soldi per la stazione
L’autostop l’unica soluzione;
in macchina verso la grande citta’
a trovar fortuna e la sua dignita’.

Giovane e bello quello sconosciuto
Mai tanto per il suo sguardo mutu.
Marisa si sentiva gia’ innamorata,
ma la citta’ non fu mi avvistata.

Un urto dirompente,
fuggita per la tangente
la macchina impazzita,
anche cosi’ finisce la vita.

Dicembre 1992



Antonio "vino" Boranti


Non credevo a quanto visto sul giornale,
quel mattino, andando presto lungo il viale
che dalla stazione porta a Santa Margherita
dove, tra il fumo di caldaie e sigarette,
vedevo crescere i baffi e le unghie strette.

La foto era grande in taglio centrale,
era proprio lui finito sul giornale.
Vino, cosi’ lo chiamavano al circolo;
un uomo di quelli da incorniciare,
sempre pronto al movimento popolare.

Statura media, arcigno, un po’ banale,
occhi verdi quasi a stonare;
tranquillo pero’, in volto scavato,
potrei dire quasi abboccato,
come il vino che portava alle cene d’occasione.

Io lo conoscevo non da molto,
mi ricordo una sera da un signore colto,
conoscente comune, quasi obbligati alla presenza,
ci incontrammo per caso in una sala immensa.
Sconcertati da quel valzer d’ipocrisia
ci scolammo una bottiglia di malvasia.

Antonio mi fece una bella impressione
con quel suo modo di fare quasi da televisione.
Uomo concreto, operaio di vecchio stampo,
era una posa dentro e fuori dal campo,
quando la domenica, dopo la battuta di caccia,
tra scapoli e ammogliati ci giocavamo la vernaccia.

Mi lisciavo i baffi sfumato grigio,
mentre con un occhio al livello di pressione
leggevo l’articolo durante la pausa di colazione.
“…a prendere la decisione di sporgere denuncia
ai Carabinieri e’ stata la moglie,
dopo la drammatica confessione della figlia.
Siamo di fronte ad un altro caso d’incesto…”

Quella sera al circolo un’aria pesante,
qualcuno si limitava ad esser presente,
qualcun’altro invece, alzando gli occhi sopra il banco,
verso la foto della squadra di pallone,
cercava di darsi una sua giustificazione,
scuotendo poi la testa guardando il centravanti:
quel omino, Antonio vino Boranti.


Novembre 92

venerdì 3 aprile 2009

Le mani in tasca



Le mani in tasca,
le labbra appoggiate sui denti.
Un palazzo imponente
rifletteva i silenzi di Milano.
La tua figura immobile.
Qualche immagine ferma
si prende gioco del mio pensiero,
pochi istanti, qualche nuvola sopra la testa
e il cielo ormai bruno.
Questo ricordo.
Cosa facciamo?
Guardiamo ancora la cresta bianca delle onde?
Silenzio.
Il tuo sguardo e’ altrove,
oltre il buio dei tuoi occhi.
Certe battaglie si fanno da soli.


8/10/2003

lunedì 23 marzo 2009

Palasport di Montecatini maggio 93


A proposito di mail del periodo milanese, una delle mail che mi hanno fatto piu’ ridere me la mando' Simone (detto Chinaski), non potevo non metterla sul mio blog, come ho detto a lui…

Palasport di Montecatini maggio 93


Ora, l'unica cosa di cui non sono sicuro è l'anno, poteva essere il 91 come il 93: si tratta comunque dell'anno in cui uscì "gli spari sopra", uno dei migliori album del blasco. Mi premunisco due mesi prima dei biglietti, faccio una cernita degli amici a cui può interessare, e l'unico che mi ci viene è il pecoro. Dopo due mesi si giunge alla data del concerto, che era a maggio. Decidiamo di andarci in treno, visto che il palasport di Montecatini è vicino alla stazione ferroviaria, e di tornare con un treno speciale che doveva partire subito dopo il concerto. Partiamo nel primo pomeriggio dopo avere fatto spesa all'Esselunga: confezione da 4 di Adelscott e una bottiglia di vodka liscia. Le adelscott partono nel viaggio, la vodka ce la facciamo fuori davanti al palasport (a stomaco quasi vuoto, l'errore...) ed entriamo. All'epoca queste performances alcoliche erano all'ordine del giorno, fatto sta che entriamo al palasport, già assai gremito: io scavalco le transenne per vedere se trovo posto sul parquet, quando sento qualcuno che urla "bastardo, bastardo, dove vai?", qualcuno mi tocca, mi volto e mi accorgo che ci sono un gruppo di persone che mi sta insultando. "Ma lo lasci così il tuo amico?" mi fanno: io mi volto e vedo il pecoro, che era rimasto indietro, sdraiato in terra. Lo raggiungo e vedo che si è collassato e comincia a vomitarsi addosso. Lo trascino in bagno, lui vomita, mi vomita anche addosso, cerco di bagnargli il viso, ma non si riprende proprio. Esco, lo adagio per terra fuori dell'uscita, sembriamo due fattoni, ci vede anche un gruppo di viareggini che riconosce lo Ste “Ma guarda, il pecoro si sente male" fanno, con lo sguardo che in realtà dice "non sapevo che fosse un drogato" io sono costretto a chiamare a gesti un ambulanza, che, senza troppi complimenti, lo carica sopra e lo porta (ci porta) al pronto soccorso. Arriviamo e sentiamo commenti tipo "ecco i primi, vai!!!" (non è che i fans di vasco godano di grande fama nei pronti soccorsi). Sdraiano lo Ste sul lettino e gli fanno una serie di domande sommarie, a cui lui, completamente rincoglionito, risponde sempre di sì (come ti chiami? - hai bevuto? - hai fumato?- ti sei calato qualche pasticca? - ti sei fatto? ) Io cerco di spiegare che ha bevuto troppo e basta, ma questi dottori mi guardano con lo sguardo ironico ("ah ah ah, senti l’amico del tossico, magari si sono fatti insieme") e procedono a fargli una specie di lavanda gastrica molto rapida, seguita da alcune iniezioni di Narcan o Narcam, non ho mai capito, comunque qualcosa contro gli eccessi da stupefacenti. Restiamo lì per qualche ora, lui mezzo svenuto sul lettino e io intento a smoccolare per il concerto perso e tutta la situazione, dopodiché veniamo cacciati perché effettivamente i fans del blasco hanno riempito il pronto soccorso. Il treno speciale per il ritorno era perso, ci facciamo mezza Montecatini io in canottiera (la maglia era piena di vomito, me l'ero tolta) col pecoro appoggiato alla spalla che barcollava, e non so come raggiungiamo l’altra stazione della città: c'è Montecatini centrale e scalo, una è quella vicina al Palasport, l'altra è quella che raggiunsi, perché ci partiva il primo treno utile, verso le sei della mattina seguente. Verso le due di mattina, però, sdraiati nel piazzale della stazione tra le puttane, i trans e i drogati, lo Ste in un barlume di lucidità mi fa: "chiamo casa mia, sento se ci vengono a prendere, sto troppo male". Raggiungiamo una cabina telefonica (non era ancora tempo di cellulari), mi faccio cambiare mille lire in spiccioli da una puttana (molto gentile, vedendo in che stato era lo Ste si offrì di chiamare un taxi per portarci al pronto soccorso -"già stati, grazie" le risposi, sorridendo), e chiamo casa del pecoro, parlo io pensando che la voce del figlio, nelle condizioni in cui era, allarmasse troppo la famiglia. Mi risponde la mamma, io le dico se possono venirci a prendere perché "Stefano ha avuto una congestione, nulla di grave signora, non si preoccupi" quando il coglione ha un guizzo, prende la cornetta, e fa "pronto mamma broooooo" e parte uno smash di vomito sulla cornetta del telefono. "Stefano, Stefano, come stai" sento che urla la Nicla (la mamma), ed io parlando con la cornetta vomitosa le spiego dove venirci a recuperare. Dopo tre quarti dora arrivano i genitori dello Ste, con uno spettacolare Giuliano (il padre) che trascorre tutto il ritorno rompendo una lunga litania di bestemmie con la solita affermazione, rivolta alternativamente alla moglie e a me "te lo dicevo, che è un imbecille!!!"La serata, però, non è finita: arrivati al casello di Viareggio non si riesce più a trovare il biglietto dell'autostrada: in un crescendo wagneriano di moccoli e accuse alla moglie e al figlio, santini senior è costretto a pagare la tratta Taranto-Viareggio (la più lunga, per chi non può dimostrare da dove è entrato) per totali 64000 lire. Finale: io ho rivisto il concerto di Vasco Rossi un mese dopo in compagnia di Boy Lollo, del baldo e del pieruccione a Empoli. Lo Ste penso che non abbia più sentito una canzone di Vasco fino ad oggi. La signora Nicla mi ha telefonato, per più di un mese, di nascosto, dicendomi in lacrime :"Simone, giurami che Stefano non si droga"Il signor Giuliano non ha modificato il suo pensiero sul primogenito. Bei tempi...

Alla prossima Chinaski

giovedì 19 marzo 2009

La peruviana


Recentemente ho ritrovato qualche mail scritta nel mio periodo milanese. Quella che leggerete sotto e’ relativa all’ultimo periodo, quando vivevo con i miei due amici, anche loro di Viareggio, in Viale Papiniano nel centro di Milano. Avevo ribattezzato la triade come “Tre Culi in affitto”, con riferimento al vecchio telefilm “Tre cuori in affitto”. I nostri nomignoli erano Il Merlo (Nicola), da “Il Merlo Maschio” (il film con Lando Buzzanca) per una storica prestazione sessuale su una panca da pesi. Boy Lollo (Lorenzo), da Boy George, perche’ in questo caso di prestazioni sessuali non vi era traccia. Il mio era Duccio, ma di questo ne parleremo un'altra volta.

La peruviana

Ieri ha fatto il suo debutto la nuova domestica dei Tre culi in affitto. La signorina e' peruviana, si chiama Veronica e non e' quella che potremmo definire una gran femmina, almeno questo e' quanto mi hanno detto, dato che chi scrive non ha mai avuto il piacere di conoscerla. La peruviana e' stata scelta da Boy Lollo e non poteva essere altrimenti. Del resto poteva andare peggio, Boy Lollo poteva scegliere un domestico e credo che nessuno si sarebbe sorpreso. La sera prima ero rimasto a cena in Brianza. I miei coinquilini avevano lasciato una breve lettera alla donna delle pulizie. Immagino la scena e vedo la leggendaria scena della lettera del film "Toto Beppino e la malafemmina", anche perche' questa maledetta malafemmina latita.
La mattina seguente vedo adagiata sul tavolo questa letterina che porta la firma in calce del Merlo, anche se lui non si attribuirà la farina di quel sacco, scaricando il barile sulle fragili spalle Boy Lollo. Ma la firma e' del Merlo, per giunta quanto scritto e' dispotico e solerte, ovviamente; direi vagamente latifondista. Questo e' quanto la carta canta.

Ciao Veronica,
Sono da pulire cucina, ingresso e bagno. I detersivi sono sotto il lavello. Facci sapere per favore, se ne manca qualcuno.
Grazie, Nicola
Un seguace del Ku Klux Clan non avrebbe scritto di meglio nella sostanza. Della serie "io son io e voi non siete un cazzo", come disse il Marchese del Grillo.
La signora ha recepito il messaggio, ha fatto il suo lavoro con parsimonia, tant' e' che il Merlo si e' dichiarato soddisfatto e tutti sanno che la cosa non avviene regolarmente come un tramonto. La sera sono rientrato dal lavoro per primo e sul tavolo, nel retro del suddetto biglietto, ha trovato la fantastica risposta della peruviana che vi riporto testualmente e in forma integrale.


Ex sr Lorenzo
Sai qua no se po pulire in 2 ore. io e fato 4 ore oggi perque se trova troppo exporco lei
dica se va bene non se fa niente in due ore.

-manca strazo veleda yalo
-manca brilla accaio
-sgrassatore smac menta
-per pulir il vetro vetril
-per pulire il pavimento
-paio guanti 8

PT.sr lorenzo no pasa acqua perque ese del bano e debuto palar tanti volta. Grazie

Non e' esagerata? Il mio pensiero era stato una pastura di sentimenti, dei più diversi e variopinti. Dal classico ed inevitabile "si comincia bene", al "siamo riusciti a far incazzare anche una peruviana", per finire con quello che nasce dal basso ventre, tipo "ma che cazzo vuole... lo sgrassatore alla menta? Ma vaffanculo".
In ogni modo non si poteva che darle ragione, anche perché i due antisemiti avevano chiesto effettivamente troppo. Faccio notare che Veronica ha scritto Ex Sr Lorenzo, quell’ Ex Sr e il nomignolo Boy Lollo sono un tutt'uno.
Quanto fin qui narrato era solo l'inizio di una sera uggiosa che, ahimè, ben presto e' indecorosamente scivolata su altri toni.
Dopo aver comprato quanto richiesto dalla colf, tranne lo smac menta, ho deciso di raggiungere il Merlo dalla parrucchiera, la nota Julien, un posto geneticamente "omoaffettivo", che chiude alle ventidue, quando iniziano a brillare le stelle della notte milanese. Una volta arrivato a Moscova inizio a cercare il negozio, per le strade c'era solo qualche extra-comunitario che all’ora del TG, rimane solo al pascolo nella Milano da bere. Non ricordavo esattamanete dov'era, ma alla fine riesco a trovare Julien, non senza difficolta'. Appena entrato vedo il Merloche stava flirtando con il parrucchiere. Ma com' era questo provetto Edward mani di forbice? Il giovane era certamente un sangue misto, più bisex che gay in purezza. Non bello, direi quello che può definirsi un tipo, un po' tozzo, in jeans e maglietta nera strapazzata che ne lasciava nuda la spalla, stivali neri che non alteravano il ricercato cattivo gusto. Mi ricordava Scialpi, ma non era molto Rock and Rolling, direi piuttosto la via Maestra tra il punk e la new age berlinese, con tanto di ciuffo mesciato sulla chioma nera che ricordava una pantegana bionda pronta per gettarsi tra le braccia di un virile ratto.
Ho aspettato il mio turno nello stesso stato d’animo di Nicolas Cage in Leaving Las Vegas. Alla fine comunque usciamo soddisfatti entrambi, per il Merlo diventerà una sera da ricordare, dopo avrebbe infatti visto il lavoro svolto dalla peruviana.
Edward aveva ben servito i giovin donzelli. Il Merlo portava con disinvoltura un taglio underground, che gli donava molto, anche se lo faceva un Merlo senza ali, che non è poi così diverso da un uomo, che per godere, si fa bucare invece di pungere. La cosa che ricorderà anche l’asfalto, era la falda, che quasi verticale, gli colava dolcemente sull'occhio, come una velo sulla fondo schiena di una vergine. Io con un taglio corto e parecchio arruffato, specchio dell'anima persa.
La sera ormai aveva preso una certa direzione e mentre nel palato scivolavano le orecchiette alle cime di rapa, la tv trasmetteva i "Fantastici cinque", un Real Tv dove cinque gay curano aspetto, modi e quanto altro di un pessimo truzzo. Ma quando tutto sembrava ormai perduto, quando ormai mi sentivo l’ostia appiccicata al palato, senza Vin santo da ingollare, c' e' stata una tanto inaspettata, quanto improvvisa impennata di testosterone. Il Merlo aveva tirato fuori dal frigorifero un qualcosa che doveva assomigliare al sanguinaccio o se preferite biroldo: aveva un' aspetto che contemplava al tempo stesso un barzotto uccello di cavallo e un Alien bambino alla Ridley Scott; un blob che sembrava avere vita propria. Faceva paura affettarlo, scene viste solo nelle sale cinematografiche anni cinquanta. Troppo maschio. In tv in "Due sul divano” c'era il Califfo, che e’ tutto tranne che gay, finalmente, accompagnato dal suo miglior imitatore. Poi la stessa trasmissione ha proposto tutta una serie di mezzi attori, alcuni persino divertenti. Abbiamo chiuso degnamente con Markette, dove nella fanta diatriba politica tra il ciccione di Giuliano Ferrara e Gad Lerner è apparso come un angelo venuto dalla quarta dimensione l’ormai grigio Gian Franco Funari con la sua fetta di Mortadella sotto l’ascella. Era giunto anche per i Tre culi il momento di andare a letto.

PS: lo smac menta non e' mai stato trovato

martedì 17 marzo 2009

Il Verme



Ho trovato una busta.
In un cassetto l'ho sorpresa.
Riposava,
sola e indifesa russava.
Carta gialla, logora, puzzolente.
Una piuma di rubino l’aveva violentata.
Ormai era passato tanto tempo,
il fiato del grido si era perso.
Ombre di mani, di calli secchi tra le righe,
come parole non scritte.
Piano, fate piano.
Silenzio.
Nessuna traccia di dolore,
solo gocce di una vita sfiorata.
Sopra c'era scritto:
quando il verme
ha divorato lo stomaco,
per le vene risale
fino al cervello.
A quel punto
c'è un solo modo per
eliminarlo.

02/10/2002

In four and four eight


Avevo raccolto qualche frase celebre in "inglese maccaronico", ve le propongo cosi' come le ho trovate.

A Londra, una signora milanese conquista la celebrità usando l'espressione in four and four eight, pensando di dire "in quattro e quattr'otto".
Sempre a Londra una ragazza italiana teorizza un inglese di mezz'età agitandogli le dita sotto il naso e gridando Do yourself to do for the misery!, sua personale traduzione di "Datti da fare per la miseria!" (aneddoto raccolto presso l'Usis di Milano)
Uno studente milanese presso un'università americana esclama Do you want to put? , che, secondo lui, significa "Vuoi mettere?" (ibidem)
A Kabul un giornalista della Rai insiste presso la guida locale: I want to go coast to coast!; il poveretto, naturalmente, risponde che l' Afganistan non ha sbocchi sul mare, ed è perciò difficile andare "da costa a costa". Alla fine si scopre che il visitatore intendeva dire "Voglio andare costi quel che costi"

Un gioco istruttivo, consigliato ai viaggiatori: annotate gli avvisi che gli alberghi rivolgono alla clientela internazionale. Eccone alcuni raccolti qualche anno fa dalla Air France per il divertimento dei passeggeri.

You are inivited to take advantage of the chambermaid. (Giappone)
Traduzione letterale: "Siete pregati di abusare della cameriera".

Ladies may have a fit upstairs. (Hong Kong).
Traduzione letterale: "Le signore possono subire un attacco di convulsioni al piano di sopra".

Drop your trousers here for best results (Tailandia).
Traduzione letterale: "Calate i pantaloni qui per i risultati migliori"

venerdì 13 marzo 2009

L’inglese, questo sconosciuto



In questi giorni un gruppo d’inglesi e’ qui a Pisa per un workshop su una nuova attivita’ che mi vede coinvolto. Le mie disgrazie linguistiche sono iniziate circa un anno fa, quando mi dissero: c’e’ da fare questa cosa e il tuo referente sara’ un indiano che lavora a Coventry. E' stato come mi avessero detto che dovevo impiccarmi sotto il Ponte dei Frati Neri a Londra come Licio Gelli.
L’attivita’ in questione riguardava i test automatici e il massimo esperto era appunto l’indiano Sid. Mi doveva spiegare tutto. Vista la mia conoscenza dell’inglese avrei preferito andare a fare arselle sul Canale della Manica. All’inizio e’ stato un delirio: ho passato ore al telefono capendo poco di piu’ di una mazza. Era un continuo “can you speak more slowly, please?” O peggio “I'm sorry, can you repeat that?” Ma come mi diceva un collega, dopo che te lo hanno ripetuto tre volte devi dire per forza che hai capito, anche se non hai capito un cazzo.
Poi la cosa mi ha preso e mi son detto proviamoci, magari e’ la volta buona che imparo un po’ d’inglese. Mi dicevo: se l’ha imparato Zola ce la posso fare. Ho cominciato a studiare l’inglese seriamente, perche’ tra l’altro mi piace e vorrei parlarlo, ma sono negato per le lingue, italiano compreso. Mi hanno suggerito di leggere e guardare film in inglese, cominciando da qualcosa di semplice, come i cartoni animati per bambini. C’e’ un canale su Sky che si chiama Disney in English. La prima volta che ho provato a guardarlo c’era un cartone animato che aveva come protagonista un gregge di pecore. In mezz’ora non hanno detto una parola. Spesso il destino e’ beffardo. Il bello e’ che quando ti sembra di capire qualcosa ti lanci in cose improbabili, soprattutto se come me sei soggetto a fare stronzate. Una volta in ascensore ho incontrato un giapponese. Cosa mai potevo scazzare nel tempo che passa per fare 2 piani? Dopo uno scambio veloce volevo dirgli good luck e invece ho detto good look. Il giapponese mi ha salutato sorridendo e guardandosi il vestito. Comunque al lavoro tra alti e bassi, deliri e figure color marrone sono riuscito ad andare avanti.

Per fortuna che l’indiano si e’ dimostrato una persona eccezionale, tecnicamente supersonico, disponibile, paziente e soprattutto mi capiva. A fine agosto sono andato una settimana a Coventry e finalmente ho conosciuto Sid.
Al primo meeting c’era Sid, uno spagnolo e due donne madre lingua. Quando parlava l’indiano o lo spagnolo capivo abbastanza, o almeno cosi’ mi sembrava. Ma quando prese la parola una delle due donne le mie poche certezze svanirono nella sua voce, che per me era poco piu’ che rumore. Cazzo, parlava con un tono a ½ dB, non muovendo nemmeno le labbra, sembrava un ventriloquo. Mi ricordo quando chiesi a Sid dov’e’ il cesso. Sid mi accompagna… insomma mi sono ritrovato in un cesso enorme con i vespsiani a pisciare con Sid, a due tazze di distanza mentre mi raccontava che la sede di Coventry sarebbe stata rasa al suolo entro marzo.
Questa settimana c’e’ stato il match di ritorno, ma sapevo che non potevo contare sul fattore campo. Tra i partecipanti al workshop c’era pure un tipo che avevo conosciuto a Coventry. Un incrocio tra Ricky Cunningham di Happy Day e Tobey Maguire, l’attore che interpreta l’uomo ragno, entrambi con qualche kg di troppo. E’ il tipico inglese inespressivo con un look molto anglosassone, con tanto di falda anni ’70. Ma la cosa piu’ assurda era che aveva la stessa camicia a maniche corte che aveva d’agosto. Al primo meeting mi sembrava di capire abbastanza, poi a un certo punto ha preso la parola un tipo che quando parlava sembrava masticasse un petto di pollo. Poi e’ intervenuto il product manager… era un altro ventriloquo. Quando parlava l’unica cosa che si muoveva era il collo stile pellicano, dove sicuramente stava il resto del pollo. Ah, l’uomo ragno e’ stato impassibile per tre ore di fila, ma almeno stava in silenzio.
Ieri poi ho avuto un incontro un po’ piu’ dettagliato sul lavoro da fare. Ho cercato di spigare al responsabile tecnico, tra l’altro pure lui indiano, la nostra proposta, in particolare la diffocolta’ a realizzare una certa cosa. Credo che abbia capito perche’ alla fine mi ha detto sorridendo: Ok, mi segno che questa cosa la fara’ Luca. Insomma una volta che riesco a mettere due parole in fila correttamente l’ho presa nel culo.
Alla fine anche l’uomo ragno mi ha fatto una domanda. Era una domanda del cazzo, ovviamente.
Volevo dirgli: "You can’t have the bottle full and your wife drunk!", ma son certo che non l’avrebbe capito.
Quello che ho capito io e’ che la strada e’ ancora lunga, o vado a vivere per un po' in Inghilterra, magari da Zola, oppure loro fanno dei meeting un po’ piu’ lenti, tipo lettura fonetica.

giovedì 5 marzo 2009

Metodo Longo


Un paio di settimane fa un mio amico si e’ operato di emorroidi. Adesso e’ alle prese con un post operazione fastidioso. Ho avuto pure io la mia esilarante esperienza.
Correva l’anno 2001, avevo il culo a pezzi ormai da tempo e decisi che era il momento d’intervenire. Un paziente di mio suocero medico si era operato in una clinica di Parma dove praticavano una tecnica innovativa: il Metodo Longo. Decisi di provare e fissai la visita. La clinica era fuori citta’ nella campagna parmense, un posto molto sobrio e professionale, come il dottore che mi visito’. Ebbi un attimo di terrore, quando mi disse: “si spogli”, mentre si metteva il guanto in lattice. E’ incredibile come questi dottori facciano una diagnosi molto accurata mettendoti un dito nel culo. Mi tenne il dito in culo poco piu’ di 10 secondi e poi mi fece una relazione di 10 minuti. Comunque mi disse che bisognava intervenire e mi fisso la data dell’operazione.
La sera prima dell’operazione avrei dovuto farmi una bella purga e la mattina restare digiuno per arrivare in clinica con le budella belle pulite.
In quel periodo lavoravo a Milano, mi alzai molto presto e poi digiuno imboccai l’autostrada A1, direzione Parma. Era autunno e la padana risplendeva in tutta la sua tristezza. Non mi passava piu’ e mi fermai all’autogrill. Comprai una confezione da 10 di fiesta snack, promettendomi di mangiarne una sola. Arrivai alla clinica puntuale e con 5 fiesta nelle budella. Una volata in camera l’infermiera mi chiese: "si e’ depilato?", "Assolutamente no" risposi. Pochi minuti dopo arrivo un’altra infermiera, era una biondina sulla trentina. Se mi avessero detto che un giorno avrei desiderato che una donna mi levasse le mani dalle palle, gli avrei riso in faccia. Invece ero li’, con un pisello ridotto ai minimi termini, sudato, impaurito e speravo solo che finisse. Ma cazzo vorrei vedere voi con una donna che vi passa il rasoio sui coglioni.
Neanche il tempo di godermi il mio culetto da trans che rientra la prima infermiera con una siringa in mano. Era l’anestesia totale. E pensare che ero convinto di fare un day hospital.
Mi risvegliai molte ore dopo, nel tardo pomeriggio rincoglionito a palla, non mi faceva male il culo, ma la gola. Mi avevoano rasato il culo e le palle per farmi le tonsille? Poi mi dissero che mi avevano intubato per quello avevo dolore. Quando chiamai casa mi presi la mia dose d’insulti, perche’ era dalla mattina che mi cercavano, non avevo detto che dovevo fare l’anestesia totale, ma non lo sapevo nemmeno io. La notte passo’ tranquilla, grazie anche al residuo effetto dell’anestesia. Ma il bello doveva ancora arrivare.
Da buon coglioncello dopo tre giorni ero di nuovo al lavoro, adesso col cazzo che lo rifarei. Comunque, nonostante stessi tutto sommato bene, avevo dolore quando andavo in bagno, ma il problema grave era che mi sembrava di avere ancora due palle al culo dopo aver cagato. Avevo chiamato il dottore incazzato e avevo fissato l’appuntamento per il venerdi’. Mi giravano parecchio i coglioni, tra l’altro belli lisci, perche’ non capivo cosa cazzo mi avevano fatto e imprecavo contro quel Metodo Longo, anche per i miei ricordi universitari. Infatti, Longo era anche il nome del professore dell'esame di elettrotecnica all'universita', un pezzo di merda. Cosa dovevo aspettarmi?
Casualmente dovetti andare in bagno prima della visita. Puntualmente il dolore apparve insieme alla sensazione di avere quattro palle. Poco dopo eravamo ancora li’, io a peora sul lettino e il dottore con il suo guanto. Mi mise il dito in culo e mi chiese come va? Cazzo stavo bene. Fu un attimo drammatico, perche’ da maschio non potevo accettare di stare bene con un dito nel culo, ma quella era la realta’. Mi stavano crollando le mi e certezze, quando il dottore mi spiego’ che si era formato un leggero prolasso post operazione e che al momento dava lo stesso effetto delle emorroidi. Lui mettendomi un dito nel culo aveva ricollocato il prolasso al suo posto e il dolore era sparito. Alla fine il dottore mi disse che nel giro di qualche settimana il prolasso sarebbe sparito, nel frattempo avrei dovuto infilarmi un dito nel culo dopo aver cagato. Grazie dottore.

venerdì 16 gennaio 2009

1990


Novembre

Stiamo solo aspettando
Per poi ricominciare,
sicuri che quel giorno
non ci saranno sorprese.

Stiamo solo aspettando
impazienti l’inizio,
senza ancora riuscire
ad apprezzare la fine.

20/11/90


Sentenza

Son piccole cose del mio giardino,
ma permettetemi lo stesso di urlare
magari al vento, a me stesso.

Poco importa mi direte,
quanti siamo e tanti alle pareti,
dopotutto è una sentenza senza appello,
ma ugualmente voglio urlare,
magari al vento, a voi stessi.

26/09/90

Intorno

Cosa faccio nei giorni senza nome?
Niente di diverso, perché dovrei.
Consumo forse vecchie e nuove emozioni,
brucio con le sigarette un pezzo di vita.
E intorno? Intorno cosa?
Beh intorno una principessa,
una bambina con le rughe,
un gruppo di affermati
e un gruppo di pazzi fedeli.
E fuori?
Fuori niente di nuovo,
la solita merda in cui annegare.

29/04/90

L’attimo

Nell’attesa di un attimo,
di uno dei tanti, la lama è calata.
Nel respiro, nel sospiro
Ricomincia l’attesa.

28/02/90


Forever

Ci han preso messo nelle strade
Dicendo: “è affar vostro quello che farete”.
Via i balocchi sotto i libri
E per chi non li vuole… una mazza.
Portate alta la bandiera,
difendete lo stendardo
e a voi il dubbio di essere vivi.

13/03/90


Giorno di primavera

I giorni corrono,
i nostri sono ora.
Giorni disegnati,
visti e poi svaniti.
Quel giorno
cadeva la pioggia,
giorno di primavera,
acre l’odore, grigio sapore
di un giorno
che ti ha visto morire.

24/04/90


E se domani

E se domani di nuovo
Come già altre volte…

E se domani ancora
Come tutte le volte…

E se domani bruciassi?

Domani come sempre
Sarei ancora, di nuovo
uno di voi….

E poi infine domani.

08/04/90

giovedì 8 gennaio 2009

Bambola


Sei bellissima, sei una bambola.
Ho voglia di fare sesso,
ho voglia di farlo solo con te.
Non dirmi di NO.
Respiri affannosi, gemiti monocromatici.
Lei sul divano nuda lo fissava impassibile,
subiva senza dire una parola.
Accese la tv in cerca di parole.
Il silicone non ha voce.

http://www.repubblica.it/2009/01/sezioni/esteri/australia-ladro-bambole/australia-ladro-bambole/australia-ladro-bambole.html

mercoledì 7 gennaio 2009

Marea

E sale, lentamente sale.

E sale, lentamente sale.
Traccia l’orizzonte, traccia la vita.
Ho freddo ai piedi, i pugni chiusi
e i capelli sugli occhi per legittima difesa.

E sale, senza peccato sale.
Mi apre il ventre, mi fredda il seme.
Stringo i pugni, mordo la lingua,
sangue e piscio si mescolano al sale.

E sale, con desiderio sale.
Mi tocca, mi penetra e mi colora,
mi perdo in quello sguardo senza rimorsi.
E le labbra bagnate e l’alito impregnato di sale.

E sale, senza paura sale.
Un sorriso mi taglia la bocca,
il mio respiro si perde nel mare.
E il mare… profondo profumi, labirinto di passioni.

E sale, lentamente sale.
Traccia l’orizzonte sempre più vicino,
traccia la vita sempre più breve.
L’odio comincia dove finisce l’amore.

E sale, lentamente sale.